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ado gruzza ado gruzza Non in Linea
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Però non basta stare "tight" (o come si dice) per essere buoni tecnicamente! Anzi! Duri di schiena ormai ci stanno anche i pulzelli alla 2a settiamana di allenamento.
Conta ad esempio nella panca piana quante persone sanno fare una ripetizione identica all'altra. Se non sei born to bench, se non riesci a fare la "panca di schiena" (cosa che sanno fare in pochissimi) non arrivi assolutamente al tuo potenziale. Qui sta il concetto. Prendi la panca che fa Venuto. Quello è un modo per raggiungere davvero il proprio potenziale. Se la sua tecnica fosse il 2% peggiore farebbe 20 kg in meno.
La board ci sta, ma non so quanto sia davvero una cura dello SP rispetto all'alzata raw. (nell'attrezzato si) Quanta gente fa 180 di board poi nel raw si ferma a 150 nell'esatto punto morto da cui parte con la board con 30kg in più?

Io vedo pure su me stesso. La tecnica è una cosa che non si smette mai di migliorare, la propriocezione corporea, sentire la traiettoria ecc. ecc. sono cose che si affinano continuamente. Credo che sia un discorso assolutamente per elite! A Parma penso ci sia solo uno o due veramente capace di fare la panca (quindi di raggiungere il proprio potenziale). Penso sia un lavoro lungo e sudato.



Ultima Modifica di ado gruzza : 10-01-2010 02:32 AM.
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IronPaolo IronPaolo Non in Linea
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Predefinito The VLT Motion Analisys Manifesto - 15-01-2010, 11:28 PM


Ok, ho rifatto il verso a Ian King con il suo “The wave loading manifesto”, ma dato che cercherò da ora in poi di tirare fuori dei risultati, vorrei chiarire con i lettori (rimango sempre perplesso quando uso la parola “lettore”, cioè gente che legge quello che scrivo…) il significato di tutto questo uso di pseudotecnologia.

Oltre ad un sacco di immeritati apprezzamenti che fanno ovviamente piacere ma comunque non ho mandato uno shuttle oltre Plutone, ho ricevuto sia osservazioni interessanti sia interessanti-ma-con-una-punta-di-saccenza, della serie “questo si sapeva”.

Rispondo subito alle seconde: ma certo che queste cose sono note! Di punto in bianco un coglione con una webcam da esibizionisti fetish del web scopre quello che laboratori con fior fiore di telecamere e attrezzature non sono riusciti a scoprire?

Tutto noto, tutto stranoto. Però… però se tutto “questo si sapeva”, come mai porca troia puttana maiala (ok ok, lo spirito toscano…) queste cose che “si sapevano”… non si leggono mai mai mai mai e poi mai? Perciò, oltre a dire che sono cose note, prego di scriverle, qualche volta.

Rispondo alle altre osservazioni facendo una premessa. Traduco un pezzo tratto da “Biomechanic in Sports”, pagina 104. Secondo me costituisce “lo spirito della Biomeccanica” e in generale delle Scienze applicate allo Sport.

“I gesti atletici non possono essere spiegati in termini di biomeccanica, fisiologia controllo motorio, psicologia o ogni altro dei singoli fattori che sono diventati importanti specializzazioni dello sconfinato campo delle Scienze dello Sport. Invece, il gesto deve essere considerato come la sinergia di ognuna di queste componenti, agenti in un dato sport in una data situazione per un dato individuo in un dato istante di tempo.

(…)

Perciò, se può sembrare adeguato applicare modelli analitici meccanicistici come i diagrammi di corpo libero per la comprensione di alcuni aspetti della comprensione dei movimenti sportivi, è necessario comprendere ogni implicazione e limite nel contesto del controllo completo mediato dai messaggi bioelettrici che attraversano il sistema muscoloscheletrico e il sistema nervoso.

(…) affidarsi puramente sui metodi della biomeccanica per analizzare il corpo umano equivale ad analizzare un conterto sinfonico esclusivamente sul suono e gli strumenti musicali coinvolti ignorando il direttore e gli strumentisti.

Come esempio, è inadeguato testare la velocità e la potenza degli atleti affidandosi esclusivamente su precisissime piattaforme dinamometriche e test in laboratorio con video ad alta velocità o con test speciali sul campo senza esaminare il sottostante processo di controllo motorio. La capacità di generare performance suggerita dai salti verticali, dalle misure pliometriche o dai vari test di agilità sono relativamente senza senso se l’atleta reagisce lentamente o inappropriatamente agli stimoli sensori durante le reali condizioni sportive. Questa è una delle ragioni per cui i cosiddetti esercizi pliometrici o di accorciamento-allungamento possono essere di pochissimo beneficio per ogni atleta.

Mentre questi esercizi possono migliorare la velocità e la potenza in movimenti semplici, non necessariamente potenziano il tempo di reazione, il tempo di decisione o le capacità di problem-solving in complesse azioni sportive durante una competizione.

Perciò, un giocatore di baseball che evidenzia un modesto salto verticale ma tempi di decisione superiori può essere molto più performante di colui che ha un notevole salto verticale ma scarsi tempi di reazione e di decisioneo una coordinazione motoria inefficiente.

In altre parole, test biomeccanici di forza, potenza e velocità presi a se stanti possono suggerire che un atleta è notevolmente portato per uno sport ma nel contesto complessivo che coinvolge i vitali processi di controllo neurale e motorio, può invece risultare seriamente mancante.

Similarmente, test fisiologici possono indicare un quadro incompleto delle capacità sportive. Per esempio, le biopsie muscolari che rivelano un alto tasso di fibre veloci (FT, tipo Iib) possono indicare che l’atleta è molto portato per attività che richiedono velocità, forza o potenza ma leve svantaggiose, curve di produzione della forza scarse e abilità motorie inefficienti possono portare al fatto che l’atleta è un esecutore mediocre di attività come correre o saltare.

Perciò, nell’utilizzare i metodi della biomeccanica all’allenamento sportivo, informazioni rilevanti dalle discipline “alleate” sono necessarie per offrire una visione più completa e bilanciata di ogni specifica situazione”

Perciò, attenti a non farvi fregare: due sensori appiccicati addosso non forniscono necessariamente più info rispetto al non averli e affidarsi esclusivamente a numerini per descrivere cose complicate può essere pericoloso. La tecnologia va inquadrata nel suo complesso nello studio del corpo umano, non settorialmente. Questo è il primo punto, centrale. L’altro è che la tecnologia è d’ausilio all’atleta e non viceversa. Spiego.


Questo è un classico del Controllo Motorio, riadattato da me. “Allenarsi” per un gesto altetico in pratica è l’esecuzione di movimenti confrontati con un movimento ideale. Spero di poter illustrare con una serie di articoli questo aspetto, che è incredibilmente interessante, ma possiamo già adesso affermare che a pedate sia plausibile, no?

Provo un esercizio, guardo come lo faccio. Se lo faccio bene, ok, altrimenti correggo. Rallentando questa frase banalissima è possibile notare cose che non sono invece per niente banali. Essenzialmente, operiamo un confronto.
  • E’ necessario sapere cosa osservare.
  • E’ necessario conoscere una tecnica definita “ottima” con cui confrontarsi.
Se io faccio uno squat sbilanciato in avanti da ammazzarmi ma vengo comunque su, il mio babbo mi dice “bravo” perché ce l’ho fatta. Enrico o Ado invece mi scriverebbero un elenco di almeno 15 warnings, 5 several errors e 2 fatal errors.

Il primo passo per migliorarsi è smettere di guardare i video degli altri per iniziare a guardare i propri perché, per coloro che non l’avessero ancora capito, sotto il bilanciere non ci sono gli “altri” ma loro e se guardano i difetti degli “altri” difficilmente correggeranno i loro.

Però, è necessario guardarsi sapendo cosa guardare. Per il principiante è facile crearsi una mappa mentale di una esecuzione decente: nello squat compattezza senza oscillare, non fare “chiappe su e spalle ferme”, non sparare subito le ginocchia in fuori. Il problema inizia quando le esecuzioni diventano ben fatte ed il miglioramento comincia a basarsi su un controllo motorio sempre più fine. Un bravo allenatore è capace ad osservare particolari insignificanti per i più ma risolutivi se da questi vengono applicate le giuste correzioni.

Il problema è che il “bravo allenatore” sa cosa guardare ma magari non sa formalizzarlo per altri, non sa scrivere ciò che vede.

E’ in questo momento che entrano in gioco i nuovi strumenti con la loro capacità di “svelare” meglio i particolari sepolti sotto migliaia di movimenti insignificanti. L’armamentario tecnologico ha un ruolo didattico spaventoso se si usa in quest’ottica: migliorare la comprensione dei movimenti, migliorare le proprie capacità osservative.

Dopo, via cam, luci, sensori: sappiamo cosa e come osservare nei nostri movimenti e in quelli degli altri. Considero tutto questo grande casino come un vero e proprio processo di apprendimento, viceversa non credo assolutamente che qualsiasi macchinetta possa fornire indicazioni più valide di un occhio esperto.

Non ho la pretesa di scoprire nulla di nuovo ma, ragazzi, vedere la curva della propria potenza generata in uno squat è ben più istruttivo che leggerla su un libro, vi posso assicurare.


Queste sono le disastrate condizioni in cui lavoro: niente è gratis ma tutto guadagnato. Ad esempio, il fogliaccio di plastica si è reso necessario per aumentare il contrasto fra sfondo e luce, mi sto attrezzando con lenzuoli neri o carta adesiva scura. Dopo, è facile dire “eh ma non ci hai pensato…”

No, non ci ho pensato perché chi cacchio le ha mai fatte queste cose qua?
Se in questo sono sfavorito, mi accorgo che ho un incredibile vantaggio rispetto agli ambienti di ricerca: è vero che il numero di soggetti è pari ad 1, N=1 e varianza nulla, però questo unico fottuto individuo è:
  1. Più forte della media e perciò gli eventuali effetti migliorativi delle supposizioni fatte non sono di certo dovuti al fatto che un “recreational trained subject” può essere uno che ha visto una palestra in foto e pertanto gli basta strisciare su una panca per migliorare.
  2. In grado di dare un feedback totale alle misurazioni fatte e, a meno che non sia schizofrenico, è in grado di eseguire al meglio i movimenti come il ricercatore desidera.
Sembrano stronzate ma vi mostrerò alcuni vantaggi di entrambi questi aspetti.

Osserviamo lo squat


Questa è la curva della velocità del bilanciere nello squat, con cui vi ho massacrato i testicoli in innumerevoli articoli. Ho cerchiato un elemento che non ho compreso leggendo i vari studi, mentre degli altri ho trovato spiegazioni plausibili (sempre che le abbia comprese): cosa è quella specie di flessione della curva? Boh…

Ok, adesso passiamo al mondo reale.


Ecco una curva della velocità verticale di un mio squat con 150Kg: wow… è identica! Ho segnato per ogni alzata un “giudizio”, del tipo “potente”, “decisa”, “chiavica” e questa è una alzata fatta bene. Però mica sono tutte così belline…


Questa è più brutta: notate come ci sia proprio una “fossa” nella zona dello sticking point e come la velocità sia molto più bassa inizialmente. Non solo, l’alzata è più lenta della precedente, ben un secondo e mezzo cioè il 50% in più.


Quale è l’ordine delle alzate? Quale ho fatto prima? Il secondo grafico è la prima alzata, la sesta serie dopo un 2×3x130 e un 2×2x140, il primo grafico è la seconda ripetizione dopo 12 serie di squat. Ma… è un altro argomento.

Per gli amanti della pratica che detestano i secchioni nerd della teoria, posso assicurare che certe discussioni esistono, e sono roventi, anche fra Fisici Teorici e Fisici Sperimentali: leggere il grafico spiegato in un libro è “teoria”, tutti sono capaci a studiarselo e a memorizzarselo, quando si hanno di fronte serpenti come quelli dei grafici qua sopra, le cose diventano più incasinate.

Scopo di tutta la trattazione è capire come migliorarsi: provate a dedurre da questi grafici quale alzata sia venuta bene e quale male, cercando di legare il “bene” o il “male” con alcuni parametri quali il peso sul bilanciere o la durata dell’alzata o il rallentamento allo sticking point o quant’altro.
In teoria, con 170 avrei dovuto eseguire peggio che con 130, ma alla fine l’alzata a 170 è quella con meno rallentamento e tutte le alzate durano circa allo stesso modo.

Con questi grafici è facile calcolare la potenza e potrei stabilire un criterio che più potenza genero e più l’alzata è buona. Però, come nella premessa, può un numero o anche molti numeri darmi un’idea della “bontà” di quello che faccio e segnalarmi cosa cambiare? Questa è la sfida.

Approssimiamo

La prima cosa che fa il Fisico Sperimentale è cercare di creare un modello della realtà, una sua versione semplificata perciò gestibile.

Scrivo tutto questo perché vorrei cercare di comunicare alcuni messaggi: uno di questi è che un modello descrive un’idea: una connessione logica fra fatti osservati. Sembra complicato, ma tutti ragionano per modelli, tutti semplificano la Realtà per poterla gestire.

Una idiozia di idea: l’acqua bolle, buttiamo la pasta. Nessuno misura la temperatura dell’acqua, nessuno si preoccupa della temperatura di ebollizione, nessuno pensa: “l’acqua è alla temperatura di ebollizione che coincide con la temperatura corretta per far svolgere le reazioni chimiche di rottura dei ponti amidacei dei fusilli”, basta sapere che se ci sono le bollicine su una pentola sul fuoco la pasta si cuoce. Una notevole semplificazione. Ok, ripetiamo lo stesso giochetto a 5000 metri di altezza, l’acqua bolle a temperatura più bassa e la pasta si cuoce male: non funziona più l’idea che l’acqua bolle ed è possibile buttare la pasta. La semplificazione è errata.

Ciò significa che qualsiasi idea abbiamo, qualsiasi modello costruiamo di ciò che ci circonda, è necessario conoscerne i limiti per non fare arrosti.
La mia idea è che le curve delle velocità siano approssimabili con dei segmenti rettilinei, qualcosa del genere:


Non fatevi spaventare dai simboletti e dai punti: l’idea è che quando faccio uno squat esistano degli istanti di tempo, dei momenti, più significativi di altri in cui accade qualcosa che vedremo.

In questo caso gli istanti sono 6: raccattando informazioni di quello che accade in questi 6 istanti di tempo è possibile capirci qualcosa riguardo a tutto un intero movimento. Una semplificazione notevole perché invece di confrontare curve o video mi basta confrontare una manciata di numeri.

Questo modello di squat semplifica l’osservazione dell’esercizio limitandola a 6 fotografie senza perdere di qualità, qualsiasi sia la durata dell’alzata, il frame rate o la risoluzione del video: nemmeno il più perverso algoritmo di compressione mpeg riuscirebbe nell’impresa!

Facciamo due prove e vediamo che viene fuori (ho provato anche altre curve, con meno segmenti, e anche con dei polinomi, questa è la migliore, sia “visivamente”, sia con il calcolo dei residui sia con i coefficienti di correlazione e tutte le menate di Statistica che io conosco poco e detesto dato che ci ho preso l’unico 24 della mia carriera di ingegnerino studente)


Ecco un po’ di risultati: mi sono meravigliato anche io della bontà del risultato e ci sarebbe da perdere un po’ di mesi per capire come mai la velocità sia approssimabile con una funzione lineare a tratti, come se il nostro cervello fosse in grado di gestire e produrre solo accelerazioni costanti a tratti sotto carico. Ma questa è una vera sega mentale industriale, a livello di multinazionale delle seghe mentali industriali.

Notate come la spezzata approssimi bene la parte concentrica del movimento ma meno bene la parte eccentrica, però la zona di inversione del movimento è correttamente descritta (sovrastima l’accelerazione, ok, m ci siamo, su…). Inserendo un altro punto di “snodo” nella zona eccentrica avrei ottenuto un risultato migliore, ma questo vorrebbe dire che ci sarebbe un punto significativo in più, un modello differente e invece secondo me questo è ok per descrivere una alzata corretta. Se servirà, lo cambierò, è roba mia…


Perciò, il procedimento è un classico di qualsiasi esperimento e per quanto abbia tagliato via parecchie cose, è formalmente corretto. Se non vi torna, chiedete a Galileo ah ah ah

Usiamo questa roba

Ok, adesso che ho fatto due superpalle galattiche a tutti con questi parametri… utilizziamoli, altrimenti a che servono? Il mio approccio è che prima di scrivere dei numeri è necessario osservare le “forme delle cose” perché misurare, cioè “fare” può inizialmente essere fuorviante. Osserviamo le forme: nei grafici seguenti descrivo le velocità semplificate di qualche alzata ponendo i punti significativi sulle relative traiettorie del bilanciere.


Ecco una buona alzata a 140Kg, con un massimale teorico di 185Kg è un classico 75% 1RM. Notate questi aspetti:
  • La fase di discesa in cui la velocità aumenta rapidamente, quasi a 80cm/sec o 0,8 m/sec per usare le unità di misura corrette, dura un caccolesimo di tempo in cui scendo di circa 10 centimetri: questo è bene o male vero sempre. Ciò significa che la prima parte del movimento è semplicemente un “mollare” il bilanciere per poi iniziare a frenarlo quasi da subito, quando finisce la fase Down (perché ho usato questi nomi? Boh… mi sono venuti così…)
  • Al punto C ho quella strana flessione della velocità che apparentemente non ha effetti sulla traiettoria, vedremo meglio in seguito
  • L’inversione del movimento avviene fra il punto Min e il punto StIn (Sticking Point In). Bang! Una fucilata, come direbbe un mio amico, di una manciata di centesimi di secondo in cui si percorre pochissima traiettoria, come risulta evidente.
  • Poi inizia tutta la regione dello stiking point. Per avere un’idea del posizionamento del punto rispetto alle anche o alle ginocchia StMin (Sticking Point Minimum) è necessario conoscere la posizione delle anche, e dato che non ce l’ho, diciamo che il minimo è poco sopra il parallelo.
  • Lo spostamento orizzontale è di circa 10 centimetri fra discesa e risalita (l’asse orizzontale non è in proporzione con quello verticale per fare apprezzare l’”anello” che si forma)
Ok, adesso guardate quest’altra, con 160Kg:


Ecco qualcosa di interessante! La velocità di discesa si appiattisce parecchio e… guardate il punto C, che prima era una lieve flessione come invece rappresenta un punto in cui la velocità si mantiene costante. Sulla traiettoria dal punto C inizia uno spostamento anche in avanti del bilanciere, perciò di tutte le spalle.

Ma certo! La velocità verticale si stabilizza perché una parte della forza è “dissipato” per spostarsi in avanti perciò deve aumentare la velocità orizzontale! Come non averci pensato! Ecco una delle cose che “si sapevano” ma che però io non ho mai letto.

Poi rapida inversione, risalita, sticking point. La durata della regione dello sticking point è paragonabile a quella dell’alzata precedente e la sensazione è stata di una alzata “buona”, “aggressiva”, “dinamica” anche se 160Kg sono l’85% del massimale cioè un carico notevole. Notate come in risalita il bilanciere “torni indietro” seguendo abbastanza la stessa traiettoria della discesa.

Infine, l’ultimo caso che presento: l’alzata peggiore delle quattro fatta a 170Kg, “lenta”, “sofferta”.


Si nota una prima parte a velocità “piatta” dopo il Down sempre rapido ma una lunghezza dello sticking point di ben un secondo superiore alle precedenti due e un secondo con il bilanciere che si ferma quasi a mezz’aria è assolutamente poco divertente.

Notate come la traiettoria sia molto spanciata, mi sposto in avanti in discesa come nel caso precedente ma in risalita non percorro la stessa traiettoria, ma tendo a risalitree rettilineo e anche un po’ in avanti.

Solo per precisare, notate come non dobbiamo farci fuorviare dai parametri e dai numerelli: in questo caso il punto C calcolato dall’algoritmo di minimizzazione del risolutore di Excel (come lo adoro il risolutore… una genialata assurda) sia troppo in basso sulla traiettoria che flette ben prima, pertanto se quest’idea avrà valore è necessario sviluppare un diverso calcolo del punto C (e non G che tanto non esiste per buona pace dei nerd che leggono su Men’s Health gli articoli della serie falla godere). Un’idea è considerare dove inizia la deviazione orizzontale, cioè dove la velocità orizzontale aumenta. Vedremo.

Il lavoro da fare

A questo punto le idee sono tantissime:
  • E’ possibile che lo sticking point sia dovuto ad uno sbilanciamento in avanti?
  • Perché c’è uno spostamento orizzontale in discesa? E’ “corretto” o da evitare?
  • La schiena che fa in queste situazioni?
Un vantaggio di essere soggetto degli esperimenti e “ricercatore”: di sicuro non è il peso che determina queste condizioni, o meglio è anche il peso perché a 170 ho spanciato di più in avanti, a 130 e 140 molto meno o per niente però molte ripetizioni sono state peggiori del previsto. L’altro vantaggio: se mi viene un’idea, posso provarla in tempi relativamente rapidi.

Quando avrò le idee più chiare cercherò delle cavie per contestare o confutare ciò che affermo. Per adesso mi diverto come un pazzo. Domani esperimento con l’aggiunta della posizione dell’osso sacro L5-S1, se non trovo un modo per fissare sul mio fondoschiena me la incollo con la loctite dato che non posso di certo inchiodarla (sicuro? Forse qualche millimetro non è doloroso…)

Conclusioni… per ora

Ragazzi, ve la ricordate quella pubblicità del noto formaggio con il tizio che dice “è solo un puntino”? Ecco, questo è un puntino, un solo puntino, ma è significativo e si possono dire un sacco di cose.

E, ancora, vi prego di notare (“notare”, quante volte l’avrò detto?) come non abbiamo scritto nessuna tabella o numero, solo osservato le forme.

Prima si osservano le forme, poi si misurano le forme, prima le forme, poi le misure, forme, misure, dai la cera, togli la cera, dai la cera, togli la cera. Solo così è possibile sferrare il colpo mortale del Drago Schizoide e non soccombere al tizio che ci dice che siamo carne morta.
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… il Professor Plum nel salotto con il pugnale. Ok ok, non ho scoperto niente però penso di avere le idee più chiare su questo ossessivo stickink point.. Ancora sono speculazioni, ma penso di non essere molto lontano, sinceramente.

Ho sempre fatto riferimento al mitico studio, padre di tutti gli studi sullo squat,“A three-dimensional biomechanical analysis of the squat during varying stance widths” di Rafael E. Escamilla e altri autori.

A sinistra il grafico della velocità verticale del bilanciere presente nello studio, a destra la mia velocità verticale del mio bilanciere. Quando l’ho visto, mi sono emozionato: non stavo dicendo delle cazzate, allora!

A differenza di quelle cagate di studi sulle eccentriche veloci alla macchina isocinetica, quelli dove in 3 settimane si migliora la forza del 50% per scoprire che i soggetti erano sedentari indolenti da girone infernale degli accidiosi, Escamilla è uno che ha studiato lo squat sotto carico: lo studio è stato svolto digitalizzando le alzate di atleti di una gara di PL a livello nazionale, idea che, sinceramente, mi piacerebbe ripercorrere.


Stavolta ho costruito una struttura di calibrazione un po’ meglio della precedente: la prossima sarà un parallelepipedo, per ora va bene questa qua. E’ incredibile come, risolto il problema della tecnologia elettronica, le vere problematiche sono quelle hardware di bassissimo livello: per fare le cose per bene sarebbe necessario un garage di 10×10 metri dove poter lasciare tutto piazzato.

Il problema di una digitalizzazione bidimensionale è che i punti da riprendere devono giacere sullo stesso piano di calibrazione, cosa “su per giù” rispettata in quando la mia schiena è tutta sul rettangolo, di sicuro una condizione inaccettabile per misure quantitativamente corrette ma che vanno bene in questo approccio che guarda le “forme” delle alzate dando importanza al confronto fra movimenti piuttosto che al movimento in se. Prima o poi passerò ad una digitalizzazione 3d, ma adesso voglio farmi un po’ le ossa così.

Ho digitalizzato 3 punti: il centro del bilanciere, l’osso sacro al confine con L5 e un punto a 20cm dall’osso sacro indicato con una X di nastro carta, gentilmente posizionato da mia figlia che si è divertita a scotchare il babbo. Il punto non ha nessun particolare significato, della serie “già che c’ero ho indicato un punto in più” ma ha portato dati interessanti.

Ho voluto verificare se se la maglietta si sarebbe mossa durante le varie alzate, cosa che non è accaduto almeno per ciò che riguarda l’osso sacro, perciò una maglietta nera con dei punti gialli o bianchi è sufficiente.

Ho dovuto aggiornare l’analizzatore per gestire 3 punti e ho iniziato a sviluppare un modellino biomeccanico dello squattista che, pur essendo abbastanza elementare, ha delle particolarità a mio avviso abbastanza “avanzate” quali un bacino che non è un punto ma è presente un osso sacro ed un acetabolo e una prima schematizzazione dei femorali.


Devo dire che mi ha fatto una certa impressione vedere l’omino secco squattare come faccio io, “scodando” come me a differenza dell’altro che eseguiva una alzata simulata. Conoscendo la posizione della schiena, sapendo la posizione e l’angolo dei piedi è possibile in prima approssimazione dedurre come si muovono le ginocchia. E’ una parte da sviluppare, ma adesso come primo risultato va bene così.

Mi sono fissato sullo squat perché è ben più semplice della panca o delle trazioni e allo stesso tempo più complicato rispetto allo stacco: il movimento è meno tridimensionale di quanto si pensi dato che il blocco del tronco si muove sempre su un piano verticale.

Vi preannuncio che il risultato finale è ciò che già sappiamo, ciò che l’esperienza di centinaia di lifter ha già reso noto, però stavolta… lo esplicitiamo e lo scriviamo in bella copia.

Saliamo…

Analizziamo la risalita dal punto più basso, in questo caso una buona alzata con 140Kg

Ok, è un po’ complicato, spieghiamolo piano piano: in alto ho riportato la velocità delle spalle e delle chiappe. Notate come spalle e chiappe si muovano quasi all’unisono, le chiappe leggermente più velocemente dato che il grafico relativo è “sopra” quello delle spalle.

Se spalle e sacro si muovono alla stessa velocità, la schiena (il segmento che li congiunge) si muove senza variare la sua inclinazione. In questo caso le chiappe si muovono più velocemente, spingendo il culo verso l’alto di più rispetto alle spalle (vi piace l’uso dei termini tecnici “chiappe” e “culo”?). La curva dell’inclinazione della schiena, infatti, mostra come da 41° di inclinazione si passi a 37° nel punto a minima flessione.

La riga centrale indica il picco di velocità dell’osso sacro, notate come poi questa velocità rallenti fino ad un minimo, mentre la velocità delle spalle non decresce, si mantiene bella arzilla e addirittura aumenta: ciò significa che sto “ruotando indietro” la schiena estendendo il bacino per mettermi in posizione eretta e il bilanciere continua a spostarsi verso l’alto senza rallentamenti.

La sensazione è una alzata potente con il bilanciere che schizza deciso verso l’alto, senza intoppi e rallentamenti apparenti.


Questa è una alzata a 150Kg eseguita molto peggio. Non è il carico che ha fatto la differenza quanto la stanchezza e la deconcentrazione.

Osso sacro e spalle si muovono a velocità differenti, con l’osso sacro sempre più veloce delle spalle. Questo significa che la mia schiena si flette in avanti più del caso precedente: “sfuggo di culo”, e anche se inizialmente la schiena era meno flessa a 44° l’effetto finale è che mi ritrovo piegato ai soliti 37° come nel caso precedente, perdendo però 7° invece di 4° o, visivamente, invece di flettermi solo di 5cm in avanti mi fletto di 8cm e 3cm si vedono molto bene durante il movimento. Faccio sempre così quando sono stanco: uso ciò che ho di più forte, la schiena.

Al minimo della velocità delle chiappe, linea a destra, ho anche un minimo della velocità delle spalle, un rallentamento evidentissimo assente nel caso precedente, un classico sticking point. Il risultato finale, descritto nei due disegni in basso a destra dove riporto anche la posizione precedente, è che a parità di inclinazione della schiena sono 5 centimetri più in basso rispetto al caso “buono”.

L’alzata è anche più lenta, del resto andando più piano ci metto di più a tornare in piedi. Una alzata un po’ sofferta.

Il ruolo dei femorali


Vi ho già massacrato con la storia che i femorali, essendo biarticolari, estendono il bacino ma contemporaneamente flettono la tibia, un movimento assolutamente indesiderato in risalita in quanto contrastano i quadricipiti che estendono la tibia. Non solo, i femorali si trovano ad operare in condizioni di accorciamento dal lato del bacino e di allungamento dal lato della tibia, una “falsa isometria”.

Dalle misurazioni sul mio modello, per i due casi visti la lunghezza dei femorali passa da 38cm a 41 cm dal momento in cui inizio la risalita alla minima inclinazione della schiena, che è sempre 37°. Non si verifica la falsa isometria perché la schiena flette e fa allungare i femorali.

Io affermo che sia sempre necessaria una leggera flessione in avanti in risalita per creare uno stretching che attivi meglio i femorali. Ciò non significa che sia una flessione voluta, ma solo accidentale.

Sotto carico difficilmente è possibile far compiere al nostro corpo movimenti volontari troppo complessi, perciò quando inizia la risalita l’impulso è quello di contrarre i quadricipiti e conseguentemente le ginocchia saranno sparate indietro.

E’ qui che interviene l’allenamento, permettendo di coordinare i femorali, i diretti antagonisti dei quadricipiti, in un movimento di estensione del bacino. Contemporaneamente all’estensione delle tibie inizia anche una estensione del bacino grazie alla co-contrazione di questi muscoli.

Ovviamente, anche grazie ai glutei e ai lombari e bla bla bla, ma i glutei sono dei monoarticolari e non co-contraggono nulla, mentre i lombari non hanno niente a che vedere con i quadricipiti, pertanto la difficoltà maggiore è proprio la coordinazione dei femorali.

Per questo motivo avviene la flessione in avanti: una imperfetta coordinazione sotto carico. Se metto 90Kg e mi impegno per la classica alzata da manuale, quella dei libri dove immensi hulk fanno vedere come squattare a schiena dritta con il solo bilanciere, non fletterò minimamente la schiena, se metto 190Kg il giochetto mi riesce peggio.

Se però ho coordinato bene i miei femorali questa minima flessione provoca un allungamento e un conseguente riflesso da stiramento: sto usando i femorali in eccentrica e lo stretch reflex potenzia la forza generata. Perciò un po’ di flessione mi permette di chiudere bene l’alzata e nelle tonnellate di video di gente che squatta bene che ho visto su youtube questa minima flessione è sempre presente.

Addirittura, ma qui avrei bisogno di “prove” più certe, questo movimentino di flessione è presente anche nella risalita di potentissimi front squat!
In altre parole più complesse, la velocità angolare con cui si apre l’angolo schiena-femore deve essere proporzionale a quella con cui si apre l’angolo femore-tibia. Questa affermazione sarà oggetto di un’altra trattazione.

Perché ciò avvenga i glutei e i femorali devono “tirare indietro” cioè estendere il bacino tanto velocemente quanto i quadricipiti estendono la tibia. In questo caso il bilanciere sale senza rallentare.

Questa invece è una alzata peggiore della precedente: la mancanza di coordinazione fa si che il bacino continui a spostarsi verso l’alto più velocemente delle spalle perché i femorali non lo “tirano indietro” quanto basta per far salire anche le spalle. La schiena si flette.

La flessione aumenta l’allungamento dei femorali che generano così più forza: ad un certo punto questi sono così allungati da poter esercitare al meglio la loro trazione. Peccato che lo squat si sia trasformato in un good morning, esercizio più semplice dello squat proprio perché non c’è da coordinare ginocchia e bacino.

Il bilanciere ha comunque rallentato la sua corsa in maniera evidente, da cui lo sticking point classico.

Una brutta alzata è così dovuta ad un utilizzo non sincrono dei quadricipiti con i femorali, un modo per suddividere un movimento complesso in due più semplici: non estensione ginocchia ed estensione bacino contemporaneamente, complesso, ma prima estensione ginocchia e poi estensione bacino, più semplice.

Morale

Ciò che nello studio di Escmilla manca è, secondo me, l’associazione dei parametri osservati ad un giudizio complessivo delle alzate: ok, nello squat accade ciò che è stato osservato, ma in cosa differisce una bella alzata da una alzata disgustosa? La comprensione di questo permette di estrapolare non solo i parametri rilevanti ma anche i loro valori.

L’utilizzo di soggetti troppo “bravi” e anche sconosciuti ha, secondo me, impedito tutto questo, mentre uno dei vantaggi di essere io il soggetto di studio è che posso “giudicarmi”. Per quanto io abbia un ottimo massimale (200Kg raw sono un ottimo massimale su tutte le scale, lo dico senza presunzione), non ho una bella tecnica e questa peggiora con l’aumentare del peso o della stanchezza. In più, avevo l’influenza pertanto una condizione ottimale per ottenere brutte alzate se non concentrato. In altre parole, mai analizzare il top, ma la fascia intermedia. Questo, sempre.

Ci sono varie teorie sullo sticking point, il problema è che secondo me non tengono conto di come si arriva nel punto più difficile, perché non legano ciò che viene misurato con ciò che l’atleta ha voluto fare.

Senza voler essere quello bravo che ci capisce, ma solo come una mia impressione, gli studi sono troppo… meccanicistici: come se le traiettorie del corpo umano, data una posizione e dato un insieme di velocità, non possano che essere di un certo tipo.


Lo sticking point è considerato un punto di svantaggio meccanico e queste sono alcune delle cause:
  • Il movimento concentrico fa generare ai muscoli meno forza a causa della velocità generata, secondo la legge forza-velocità. Secondo me questa è una forzatura, stiamo parlando di movimento veramente lenti, mezzo metro al secondo e altri studi fanno vedere come vangano, nei calcoli, le condizioni di quasi-staticità.
  • Poiché in risalita i muscoli si accorciano, viene generata meno forza a causa della legge forza-lunghezza.
Tutto questo è certamente vero e contribuisce alla difficoltà del movimento. Però se fossero solo queste le cause, tutte le alzate dovrebbero avere lo stesso tipo di traiettoria. Invece, perché a parità di Kg certe volte faccio “bene” e certe volte faccio “male”? Ciò dipende da come io, volontariamente, uso i miei muscoli all’inversione del movimento, co-contraendo i femorali oppure no. Per questo a parità di Kg, velocità e inclinazione della schiena posso o meno ottenere risultati differenti.


Affermo che lo sticking point non dipende da altro se non da questo: vi sono difficoltà meccaniche ma l’uso del mezzo corretto permette di dominarle, altrimenti di subirle. Con carichi massimali come in una gara tutte le alzate sono identiche fra loro, perché siamo al limite e al limite i comportamenti di atleti d’elite sono bene o male sempre gli stessi.

Viceversa, è l’analisi di alzate submassimali che permette di determinare le differenze. Per confermare o confutare ciò che dico sarebbe necessario mettere in piedi un esperimento in cui atleti di livello medio, seguendo certe indicazioni, migliorano o meno il suo passaggio allo sticking point. Uno studio longitudinale, non trasversale.

Ciò non toglie che gli studi e anche questo pseudo-studio confermano che ciò che conta sono le “solite” regole che tutti conosciamo: schiena “dura” in risalita.

E la discesa?

La discesa è ciò che prepara la risalita. Per questo motivo non è importante quanto velocemente si scende ma che assetto si assume. L’alzata è, cioè, asimmetrica: in risalita sono importanti le velocità, in discesa le posizioni.

Però, della discesa parlerò nella prossima puntata perché un amico mi ha regalato un’idea eccezionale
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