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Predefinito Leve articolari, centro di massa e... Multipower! - 07-08-2009, 12:24 PM

Leve articolari, centro di massa e... Multipower!


Grazie al blog e alla presenza su Internet ricevo “molte” e-mail e sono in contatto con “molte” persone. Le virgolette sono d’obbligo perché andrebbe definito quantitativamente ed oggettivamente il “molto”: nel mio caso si tratta complessivamente di circa 2-6 contatti interessanti al giorno, domande e quesiti sugli argomenti che mi piacciono e che mi impegnano la la mente.

Ricevo anche molti complimenti che fanno ovviamente piacere, come anche critiche. Molto spesso queste ultime sono delle vere idiozie, tipicamente quelle di YouTube: senza conoscere quello che fai, molto spesso la gente urla commenti senza senso o delizie tipo “suca” o “sei piccolo”. Altre volte le critiche sono motivate e infatti sono quelle che fanno più “male” perché impongono una riflessione, ma sono proprio queste che permettono di migliorare.

L’ultima che ho ricevuto conteneva molti elementi su cui diplomaticamente dico che non concordo, ma un punto meritava attenzione: “… fare grafici ed essere ermetici per darsi un tono, non porta a nulla…”

Ok, non ho problemi a definirmi uno schizofrenico, un narcisista di merda, un presuntuoso, un fallito che parla solo dell’unico suo interesse maniacale in cui sacrifica tempo e soldi, però i grafici, le formule, i conti sono per me un modo per rendere più chiari gli argomenti, non più incasinati!

Perciò, in questi articoli vorrei affrontare argomenti già trattati per compendiarli completamente e ri-spiegarli in maniera più comprensibile. Se così non fosse, vi prego di farmelo notare e non dirmi “bravo” perché tanto è tutto gratis.

Il corpo umano, la macchina adattativa più perfetta mai apparsa sul pianeta Terra, è complicato: per descrivere i più semplici movimenti è necessario tirare in ballo quasi subito un bel pacco di Fisica, Algebra, Trigonometria.

E’ sicuramente possibile creare modelli semplificati per assimilare concetti importanti, sorvolare su aspetti non rilevanti ai fini didattici, lasciar perdere argomenti importanti che però sono finezze e “seghe mentali” in funzione del contesto. Non è però possibile semplificare oltre una certa soglia, pena lo scadere nel semplicistico: questi argomenti richiedono comunque un certo grado di applicazione del cervello, un impegno maggiore rispetto a guardare le foto di Flex al cesso.

Occorre, cioè, “studiare” nel senso letterale del termine: un minimo ma… è necessario.

Problemino


Sull’ultimo numero di Functional Training For Elite Lifter c’era uno splendido articolo su Training onto a non steady-state surface for a better deadlift, perciò GinoPL e PinoPL si costruiscono una specie di altalena a base larga per sperimentare questa innovativa tecnica.

Come tutti i powerlifter, non sono particolarmente furbi e sbagliano le misure “sbicentrando” l’appoggio. Quanto deve caricare PinoPL (quello a sinistra) per equilibrare il peso di GinoPL (quello a destra)?

Soluzione


Chiunque abbia avuto un’infanzia normale non da sociopatico sa che:
  • se l’altalena è centrata correttamente, un bambino obeso terrà prigioniero in alto quello secco.
  • se l’altalena è fuori centro, per rimanere entrambi sospesi è necessario far sedere il grasso dalla parte del lato più corto.
I nostri due amici generano due forze peso che agiscono, a meno che dalle vostre parti Newton non sia stato un venditore di pizzette, entrambe verso il terreno. Creano però due rotazioni opposte per come sono applicate alla tavola: per quanto scritto sopra, l’equilibrio della tavola dipende sia dall’intensità della forza che dalla distanza dal centro di rotazione.

L’altalena è un classico esempio di leva, due segmenti solidali fra loro detti bracci, appoggiati (in generale incernierati) su un punto chiamato fulcro e ruotanti alla stessa velocità angolare e nello stesso verso. Senza perdersi in sofismi, su una leva agiscono sempre due forze che la inducono a ruotare.

La capacità di una forza a mettere in rotazione un oggetto è detta coppia meccanica o momento meccanico, o semplicemente momento. Più il momento di una forza è elevato e più questa può potenzialmente far ruotare un oggetto. In questo caso l’intensità del momento meccanico è pari al prodotto della forza per la distanza dal centro di applicazione: se P è la forza e L è la distanza, il momento vale PL, che giustifica il comportamento intuitivo dell’altalena: è importante sia il peso, sia la distanza di questo dal centro di rotazione.

Perché l’altalena sia in equilibrio è necessario che i momenti delle due forze si equivalgano in intensità ma abbiano verso opposto: due rotazioni che si compensano.

Invece di scrivere “il peso di PinoPL” i matematici usano una notazione più compatta: la frase “il peso di” diventa semplicemente P. Poi, adorano usare quei caratteri “bassi” ma non scrivono PPinoPL : semplicemente una cosa come P1. Così per tutte le altre grandezze.

La prima parte della formula del disegno è l’uguaglianza dei momenti. Con dei passaggi algebrici da scuola media scrivo la stessa formula nel formato a destra.

La freccia nel mezzo si legge “perciò” e la formula è la forma compatta di: “l’altalena è in equilibrio se i momenti generati dai due idioti hanno la stessa intensità, perciò è necessario che il peso complessivo di PinoPL sia pari a quello complessivo di GinoPL moltiplicato per il rapporto delle rispettive distanze sulle tavole”. Una formula è perciò un linguaggio, un gergo per dire cose significative in poco spazio, un po’ come scrivere 6×6@80% che tutti i palestrati capiscono essere un allenamento impegnativo. Lo capiscono però perché “masticano” di queste cose, hanno “studiato” certi argomenti.

Scopo di una formula è aiutarci a capire ciò che stiamo osservando: ad esempio ci dice che PinoPL deve pesare complessivamente cinque volte quanto GinoPL se è distante dal centro di rotazione un quinto della distanza di GinoPL, viceversa GinoPL può pesare un quinto di PinoPL se è ad una distanza dal centro cinque volte superiore.

Il gioco delle leve avvantaggia o svantaggia! Si capisce perciò come pinze, tenaglie, tronchesi, chiavi inglesi permettano compiti impossibili senza: moltiplicano la forza umana nel punto dove deve essere applicata.

Tipi di leva


Il disegno rappresenta due leve di primo genere: il fulcro è sempre posizionato fra le due forze. In questo caso GinoPL a destra è il “motore” e agisce sul braccio-potenza di questo sistema meccanico mentre PinoPL a sinistra interpreta l’emozionante ruolo di zavorra e agisce sul braccio-resistenza.

GinoPL avrà un vantaggio o uno svantaggio nell’uso della leva a seconda della posizione del fulcro: nel caso a sinistra GinoPL è più lontano dal fulcro di quanto non lo sia PinoPL, pertanto il rapporto fra i due bracci nella formula che abbiamo calcolato è sempre minore di uno: GinoPL equilibrerà PinoPL con una forza inferiore a quella necessaria a tirarlo su senza leva.

Nel caso a destra avviene l’inverso e GinoPL avrà uno svantaggio nell’uso della leva poiché dovrà generare molta più forza rispetto a non usarla!
Perciò una leva di primo genere si dice vantaggiosa se il braccio-potenza è più lungo del braccio-resistenza, se accade il contrario la leva si dice svantaggiosa.

Nel caso i bracci abbiano la stessa lunghezza la leva si dice indifferente: una buona altalena è una leva di primo genere indifferente.


A sinistra una leva di secondo genere: la resistenza è sempre posizionata fra il fulcro e la forza applicata. Una leva di secondo genere è sempre vantaggiosa: più il braccio-potenza ha una lunghezza paragonabile a quella del braccio-resistenza e meno la leva è vantaggiosa, ma non diventerà mai svantaggiosa. L’esempio classico è la carriola che usate nelle vostre prove da strongman denoartri, invece che la Conan Wheel la Paolino Wheelbarrow.

A destra una leva di terzo genere: la forza è applicata sempre fra fulcro e resistenza. Una leva di terzo genere è sempre svantaggiosa: più il braccio-potenza ha una lunghezza paragonabile a quella del braccio-resistenza e meno la leva è svantaggiosa, ma non diventerà mai vantaggiosa. L’esempio classico è il corpo umano, sigh!

Tristi esempi…



Il disegno vuole essere una rappresentazione schematica dell’articolazione del gomito: questo è il fulcro intorno a cui ruota la leva costituita dall’avambraccio, radio e ulna. I muscoli bicipite e tricipite si inseriscono sull’avambraccio, generando due forze applicate a due bracci, come in figura.


Al centro la configurazione di un curl: una leva di terzo genere perciò svantaggiosa, come si nota dal confronto con il disegno a destra.


Al centro la configurazione di un push down ai cavi: una leva di primo genere svantaggiosa, come si nota dal confronto a destra, perché il braccio del tricipite è più corto di quello della forza del cavo.


L’esempio della figura è più complicato dei precedenti: l’omino blu è seduto su una leg extension, il manicotto imbottito che fa ruotare il pacco pesi è indicato dal pallino colorato.

Immediatamente a sinistra dell’omino una rappresentazione a segmenti della tibia (fidatevi, è così e l’esempio verrà analizzato nel dettaglio in un prossimo articolo): è possibile ricondursi ad una leva con una rotazione di 90° sia del segmento orizzontale che della forza ad esso applicata. Così facendo, infatti, non viene alterata la rotazione intorno al fulcro indotto dalla forza “modificata”: il verso ed intensità sono sempre gli stessi.

La leg extension, in generale qualsiasi esercizio in cui vi è l’utilizzo del ginocchio, è una leva di primo genere svantaggiosa.


Questi esempi permettono due importanti considerazioni:
  • Nel corpo umano sono presenti solamente leve svantaggiose, dato che le inserzioni muscolari sugli arti hanno bracci più corti dei punti di applicazione delle forze: controllate dove sono le vostre inserzioni muscolari rispetto al punto di applicazione delle forze!
  • Il rapporto fra braccio-resistenza e braccio-potenza arriva facilmente a 20, ciò significa che le leve articolari sono sempre mooooolto svantaggiose: che i nostri muscoli generano ben più forza rispetto ai carichi che muovono.
Scomposizione delle forze


Nel disegno è facilmente riconoscibile una situazione da deficienti. Perché? GinoPL sta tirando l’altalena in una direzione in cui non è possibile farla ruotare: una forza applicata parallelamente al suo braccio non ha nessun effetto sulla leva, il suo momento è zero!

Nei casi precedenti la forza era invece applicata allo stesso braccio perpendicolarmente, la condizione migliore per far ruotare una leva: il momento è massimo e appunto pari al prodotto PL: lunghezza del braccio per la forza ad esso applicata.


Forza parallela e forza perpendicolare al relativo braccio sono le due condizioni estreme di applicazione di una forza, nel mezzo tutta una serie di valori intermedi del momento meccanico, descritti dalla curva del grafico.


E’ possibile schematizzare una forza applicata ad una leva come la composizione di due forze, una parallela e una perpendicolare alla leva, come nel disegno a sinistra: invece di tirare “per storto” è come se si tirasse “per dritto per poi girare a destra o a sinistra”.

In questo modo la forza viene sostituita con le sue componenti, come nel disegno a destra: la componente parallela non contribuisce alla rotazione, che è dovuta solo al quella perpendicolare. Risulta evidente (spero ah ah ah) che più la forza di partenza è perpendicolare alla leva e più la componente parallela si riduce mentre aumenta quella perpendicolare: meno forza viene sprecata inutilmente per far ruotare la leva.

Per completezza, ma non importa che vi soffermiate


Dal lato di GinoPL ho disegnato due frecce fra loro perpendicolari, due assi cartesiani, che si incontrano in un punto detto origine. Per quanto ci riguarda, gli assi cartesiani costituiscono un riferimento per distinguere fra destra, sinistra, alto e basso. Potreste chiamarli in un modo qualsiasi, ma i matematici nelle loro manie ossessive-compulsive gli assegnano sempre i nomi x e y.

E’ possibile adesso disegnare l’angolo fra la forza F e l’asse x, chiamato theta anch’esso per millenaria consuetudine. A destra la scomposizione delle forze: conoscendo l’intensità di una forza, la sua lunghezza, e l’angolo con un asse di riferimento la trigonometria di base permette di calcolare le intensità/lunghezze delle rispettive componenti (il verso di ognuna è noto in partenza) grazie alle erotiche funzioni seno e coseno.

La formula in basso è pertanto la versione generale del momento di una forza applicata ad un oggetto: sempre per consuetudine, il momento si indica con la lettera tau e risulta uguale proprio al prodotto fra intensità della forza, lunghezza del braccio a cui è applicata e seno dell’angolo compreso fra forza e braccio. Il grafico della variazione del momento rispetto all’angolo è proprio quello precedente.

Conclusioni

Questi elementi di Fisica sono quanto basta per spiegare tantissima biomeccanica e verranno tutti usati nel prossimo articolo: vi prego di notare che ho introdotto una sola, unica formula e poi tutti disegnini per un totale di 8 pagine in Word con il Times New Roman corpo 12.

Spiegando il tutto introducendo le equazioni della Statica, un po’ di vettori e di momenti vettoriali, un bel seno trigonometrico come nel precedente paragrafo, disegnando un grafico “scientifico” avrei liquidato il tutto con la metà delle pagine e sarei stato sicuramente più preciso (cazzo… non ho nemmeno parlato di unità di misura!).

Così facendo avrei però distratto il lettore dai concetti, facendolo perdere fra le formule e i simboli: non pretendo di riuscirci, ma mi sforzo di far capire come funzionano le cose, per quello che so. Compito mio è renderle semplici e se così non fosse dovete dirmelo, ma compito vostro non è “leggere” o “sfogliare” o “fruire” ma proprio “studiare”, cioè batterci la testa.

Una roba del genere deve essere un po’ indigesta, “non ci sono cazzi” come diceva Confucio. Se non lo fosse… già la conoscereste e allora questo pezzo non vi servirebbe. Non è che io sono nato conoscendo queste cose, ma semplicemente… le ho studiate.

Studiate per comprendere il mondo che vi interessa: se veramente vi interessa, dovete comprenderlo e studiarlo è l’unico modo.

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Mi ero scordato della cosa più importante! Come sempre, perso nei dettagli, nello spiegare le cose in maniera semplice (o quanto meno provarci), ho dimenticato il quadro generale: perché l’Architetto della Matrice in cui tutti siamo immersi ha progettato gli arti del corpo umano come leve svantaggiose?

Il problema è che molto spesso diamo così per scontato che le cose intorno a noi siano come sono, che ci scordiamo di chiederci perché sono fatte così, accettandole senza metterle in discussione.

La nostra visione palestracentrica porta ad un giudizio negativo del fatto che le leve articolari siano sempre svantaggiose: perché cacchio il Creatore ci ha penalizzati in questo modo? Forse è il prezzo del Peccato Originale e Adamo ed Eva prima della cacciata dall’Eden avevano degli strani arti che permettevano loro di sollevare 500Kg nella panca?


Nel disegno in alto una leva di primo genere vantaggiosa: l’omino a destra può sollevare più peso di quanto non potrebbe fare senza la leva. Però a fronte di questo vantaggio deve abbassare il braccio dell’altalena dal suo lato molto di più rispetto a quanto si alza l’altro braccio.

A destra le posizioni iniziali e finali dell’altalena: con le formulette delle proporzioni dei triangoli che abbiamo imparato tutti (?) alle scuole medie, “il lato maggiore del triangolo a sinistra sta al lato maggiore del triangolo a destra come la base di quello a sinistra sta alla base di quello a destra”, da cui posso ricavare la base A1 che nel nostro caso è lo spostamento verso l’alto del peso.

La formula dice che più la leva è vantaggiosa, cioè la lunghezza L2 del braccio della forza si incrementa e a parità di spostamento A2 il peso si solleverà sempre di meno dal suolo: del resto, non posso avere tutto! Più la leva è vantaggiosa e più peso posso sollevare, ma ad altezze sempre inferiori.

Nel disegno in basso la situazione è esattamente speculare: più la leva è svantaggiosa, cioè la lunghezza del braccio L1 aumenta, e più il peso si solleverà a parità di spostamento A2: è vero che devo utilizzare sempre più forza, ma in compenso posso sollevarlo più in alto.

Lascio a voi la semplice dimostrazione che una leva di terzo genere, sempre svantaggiosa, si comporta come una leva di secondo genere svantaggiosa (Dio come mi facevano incazzare i prof all’università quando usavano la frase “lascio agli studenti la semplice dimostrazione”, perché non era semplice per una minchia, semplicemente ci lasciavano le paccate di conti che si rompevano i coglioni a scrivere alla lavagna…)

Bene, che significa tutto questo? Sebbene i nostri arti non riescono ad esprimere a pieno la forza dei nostri muscoli, per essere mossi richiedono che i muscoli si accorcino molto poco rispetto agli spostamenti compiuti dalle estremità, e questo è sicuramente un vantaggio in termini di rapidità dei movimenti.

Quando contraete un bicipite, questo si accorcia di qualche centimetro, ma lo spostamento lineare della vostra mano è di circa mezzo metro. Analogamente, quando passeggiamo i nostri piedi si spostano linearmente di poco più di un metro, ma questo avviene a fronte di contrazioni muscolari dell’ordine dei centimetri.

Pensate invece se le leve articolari fossero vantaggiose: mani e piedi per compiere gli stessi spostamenti necessiterebbero di muscoli che si dovrebbero contrarre per metri! Muscoli più lunghi dei nostri, con più massa da nutrire, perciò più cibo necessario: evolutivamente perdenti.

Oppure, movimenti molto più brevi dei nostri per mantenere la massa muscolare a livelli accettabili pur avendo leve svantaggiose: lo stesso evolutivamente perdente dato che per compiere uno stesso tragitto sarebbero necessari molti più movimenti per un consumo calorico molto più elevato del nostro corpo umano.

La struttura meccanica delle nostre leve articolari permette perciò di compiere movimenti lineari minimizzando la massa muscolare necessaria, a fronte di uno svantaggio meccanico. Questo svantaggio, però, consente comunque di sollevare, trascinare, spostare, rotolare un peso pari a circa il nostro peso corporeo, probabilmente un livello di forza sufficiente a sopravvivere al mondo. Il cervello nei milioni di anni dalle protoscimmie ad oggi ha permesso all’Uomo di sopperire ai suoi limiti fisici, facendolo sopravvivere.

La genetica può avvantaggiare: inserzioni muscolari che creano leve articolari meno svantaggiose permettono di generare più forza, ma a meno di non essere un mutante, c’è un motivo per cui nessuno potrà mai avere leve vantaggiose.

Ah…. L’ultimo pezzo psico-evolutivo è mio, perciò sono cazzate, tutto il resto, invece, è vero: anche stavolta, l’Architetto non ha toppato…


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Il multipower è quell’attrezzo esoterico, presente in tutte le palestre, che consiste in un bilanciere vincolato a scorrere verticalmente. Chiamato anche Smith Machine, dal famosissimo inventore John Smith cugino di John Doe, questa macchina ha avuto una evoluzione notevole negli ultimi anni: nei modelli primordiali il bilanciere scorreva fra due pali di ferro o era costituito da una struttura in cui dei cilindri scorrevano dentro dei tubi, il bilanciere si fermava con dei punteruoli di ferro (io mi sono allenato con questa roba!), poi cromo, cuscinetti, anelli in teflon, contrappesi e ganci rapidi per fermare la barra ed infine oggi i modelli che permettono di spostarsi anche in orizzontale, portandosi dietro tutta la struttura di scorrimento verticale e di blocco del bilanciere.

Il palestrato lacrime e sangue si irrita alla vista del multipower, macchina da tortura per ginocchia e spalle. E’ veramente così? Sembra incredibile, ma per capire le problematiche di questa macchina è necessario introdurre un concetto non proprio intuitivo: il centro di massa o baricentro, cioè “centro del peso”.


Due gemelli powerlifters che giocano con gli stessi pesi su un’altalena perfettamente simmetrica, che pertanto risulta in equilibrio (se non ci credete, caricate nel vostro furgone un po’ di pesi e andate al parco per provare mandando via a calci i bambini piangenti, il giorno dopo inviatemi la scansione del giornale con la vostra foto).

La situazione a destra è equivalente a quella a sinistra ai fini dell’equilibrio, dato che i due PL sono al centro dell’altalena, proprio sul fulcro: è possibile considerare i due PL ai lati dell’altalena come se fossero uno solo, di peso doppio, al centro. L’altalena non si muove.


In questa situazione l’altalena ha i bracci disuguali, di uno e tre metri: anche in questo caso le due situazioni sono equivalenti in quanto la rotazione finale data dai due PL a sinistra è identica a quella della somma dei due posizionati al centro.

Il centro di massa dei due PL sull’altalena è al centro della tavola: questo è il punto in cui è possibile considerare concentrata tutta la massa del sistema PL-altalena, semplificando notevolmente i calcoli. Ad esempio, i due sono in equilibrio se è in equilibrio il loro centro di massa, perciò basta controllare solo quest’ultimo.

Il concetto non è banalmente intuitivo, ma potete vederlo così: immaginate di guardare da lontano la vostra macchina, più vi allontanate e più potete considerare concentrata la sua massa in un unico punto, pertanto se dovete effettuare calcoli in cui le distanze sono chilometri l’approssimazione è valida, altrimenti no.


Le freccette che grondano come lacrime dall’omino a sinistra rappresentano le forze peso generate dalle masse di ogni elemento del nostro amico: ogni molecola che lo compone ha una massa, pertanto un peso.

Analogamente, il nostro amico appoggia i piedi al suolo, pertanto la reazione vincolare è distribuita su tutta la superficie.
Anche il carico di ferro dovrebbe essere carico di freccette, ma abbiamo sempre disegnato una sola freccia al centro del bilanciere visto di lato, in pratica anticipando implicitamente ciò che adesso andremo a spiegare.

Posso raggruppare le freccette che lacrimano da ogni parte corporea (cosce, gambe, braccia, tronco e così via) in una unica freccia che rappresenta la massa complessiva della parte, posizionata nel centro di massa della parte stessa, come nel disegno immediatamente più a destra del precedente.

Già così questa semplificazione permette di considerare molte meno frecce! In più, consideriamo la reazione del suolo come “concentrata” in un’unica freccia al centro del piede dello squattista.

Posso semplificare ulteriormente, “condensando” i centri di massa dei singoli componenti in un centro di massa unico dove posiziono la freccia relativa alla forza peso del carico e dell’omino. Questa è la semplificazione massima, perché da un’omino che fa squat sono arrivato ad una pallina di ferro sostenuta da un’asta sopra una tavoletta: la palla è la massa dell’omino+carico, la tavoletta rappresenta l’area dei piedi, l’asta è ciò che sostiene la massa all’altezza del centro di massa.

Cosa ci dà in più comprimere un povero omino per farlo diventare una palla come una macchina schiacciata da una pressa dello sfasciacarrozze?



Lo squat, in generale in qualsiasi esercizio, è stabile se il centro di massa si trova sempre all’interno dell’area sottesa dalle piante dei piedi, come si può osservare nel disegno:
  • E’ possibile inclinare il tronco sempre più in avanti, fino a che il centro di massa arriva sopra le unghie degli alluci, poi esce dall’area e la reazione vincolare del suolo non è più in linea con la forza peso del sistema, il dentista è tutto contento perché avrete bisogno di tutti i denti di ceramica.
  • E’ possibile inclinare il tronco sempre più indietro, fino a che il centro di massa arriva sopra il bordo dei vostri talloni, poi accade lo stesso giochino descritto sopra, con la differenza nell’effetto finale: avrete problemi di respirazione perché il vostro osso sacro comprimerà la vostra trachea dopo che vi sarete seduti sul pavimento.


I movimenti del centro di massa nello squat sono sempre descritti in termini di spostamento sul piano sagittale, avanti/indietro, ma è facile capire il perché. Nel disegno, il centro di massa visto posteriormente durante uno squat: anche in questo caso, per la stabilità dell’esercizio, è necessario che il centro di massa rimanga sempre sopra l’area sottesa dai piedi.

Ma… come è possibile spostare il centro di massa sul piano frontale, destra/sinistra? Caricando più ferro da un lato del bilanciere o inclinandolo da una parte, tutte ideone molto intelligenti, no? Prima che il centro di massa voli fuori dall’area dei piedi la vostra spina dorsale sarà più contorta delle spire di un boa constrictor, pertanto il problema non si pone e il centro di massa non viene mai cagato da questo lato.

Perché non pensiate che questa roba sia relativa solo allo squat, il disegno mostra come il centro di massa si sposti verso l’alto in funzione dell’elevazione del bilanciere rispetto al suolo.

Il multipower


Ecco una rappresentazione schematica di un Multipower: un bilanciere vincolato. La struttura elimina qualsiasi necessità di stabilizzazione, perché non è possibile che il bilanciere “cada” in avanti o indietro.

Il multipower è la classica che, anche in buona fede, non permette di creare quella che è definibile come “coscienza del carico” o “rispetto del carico”: una struttura del genere permette, specialmente nei mezzi squat, di caricare pesi esorbitanti, anche di 300Kg.

Tanto per dire (ma l’ho detto 30000 volte), a 20 anni o giù di lì nel “castello” (il multipower auto costruito che avevamo al Campo Scuola di Arezzo) eseguivo le serie da sei di mezzi squat con 240Kg, ma quando provai lo squat libero mi stavo ammazzare per una luridissima ripetizione di mezzo squat con 140Kg, 100Kg di meno! Il carico del mio primo squat parallelo fu di circa 80Kg, un terzo dei pesoni usati nell’altro esercizio. Il multipower, rendendo il ferro “leggero”, dà la falsa percezione che certi carichi siano “facili”.

La stabilizzazione del bilanciere permette poi giochetti “sportivi”, tipici nella panca guidata ma fattibili anche nello squat: è possibile “incastrare” il bilanciere premendolo in avanti, magari in maniera asimmetrica per “fare leva” e chiudere una alzata. Questo accade specialmente nei modelli vecchi con un certo attrito. Vi chiederete chi sia quell’intelligentone che fa queste prodezze… ce ne sono, ce ne sono… magari siete anche voi eh…

Per finire la carrellata dei comportamenti idioti che il multipower esalta, la macchina invita a parziali pesantissimi, senza che però siano considerati tali ma definiti invece come movimento completo dell’esercizio.

C’è chi esegue “quarti di squat” con pesi abnormi, chiamandolo “squat”, ma lo stesso esercizio non sarebbe fattibile con il bilanciere libero: i multipoweristi da oltre 200Kg provino semplicemente a staccare il bilanciere libero dagli appoggi, a fare qualche passettino indietro, un leggerissimo movimento e poi riappoggiarlo. Terrorizzante, nevvero? Anche stare fermi a gambe tese con 200Kg sulle spalle richiede un notevole uso di tutti i muscoli stabilizzatori, che invece il multipower annulla.

Ok, questi sono tutti comportamenti errati, perciò evitabili: se non avete la possibilità di effettuare uno squat libero, fatelo al multipower tenendo una traiettoria quanto più simile a quella naturale: non fatevi troppe seghe mentali, va bene “quasi” lo stesso e al passaggio al bilanciere libero dovrete abbassare un po’ i carichi e vaffanculo (ops…): dovete allenarvi con quello che avete, non con quello che sarebbe ottimale ma non avete!

Il multipower crea infiammazioni, tendiniti, compressioni? Sicuramente si, se lo usate nel modo descritto poco fa, se dovete usarlo, cercate di farlo come se fosse un bilanciere libero e non avrete problemi, dài…

Quelli che lagnano perché non c’è il rack nella loro palestra, con quell’atteggiamento “ah le palestre di oggi non sono più come quelle di un tempo, come le stagioni…” si possono rileggere l’articolo sull’istruttore

Il vero punto critico del multipower è, paradossalmente, l’uso che ne viene fatto “per salvaguardare la schiena”: in questo errore cadono anche molti istruttori da palestra, per la solita fissa della “schiena dritta”.


Nel disegno la classica e pietosa esecuzione vista spessa in palestra: lo sfortunato viene piazzato con la schiena totalmente in verticale, per “proteggerla”.

Questa posizione sarebbe fisiologicamente impossibile con il bilanciere libero, ma la struttura guidata permette di “appoggiarsi” alle barre verticale, grazie alla loro reazione vincolare rappresentata con la freccia verso destra al centro dei dischi.

Il problema è che per stare in questa posizione è necessario fare affidamento alle forze di attrito fra scarpette e pavimento: se foste sul ghiaccio i piedi slitterebbero in avanti con divertentissime conseguenze sulla vostra altezza.

La forza di attritto impedisce ai vostri piedi di andare in avanti, perciò li “tira indietro”: la forza A del disegno è infatti appiccicata ai piedi dell’omino e tira verso sinistra. Ma… questa è una forza aggiuntiva! A destra la rappresentazione delle forze sulla tibia, in alto nel caso dello squat libero, in basso nel caso del multipower: la forza A “allarga” il percorso dei vettori, il crociato deve “tirare” di più la tibia rispetto allo squat libero!

L’aspetto ganzissimo è che nella posizione da tortura medioevale in cui è stato costretto l’omino non è presente nessuna co-contrazione dei femorali, in quando il tronco è perfettamente verticale, perciò la compensazione dell’aggiuntiva forza d’attrito è veramente tutta a carico del crociato anteriore!

Per salvare la schiena (da che poi…) l’omino si fracassa le ginocchia: considerate che, oltre alla maggiore forza di taglio, aumenta abnormemente la trazione del tendine del quadricipite, pertanto una compressione patellofemorale bella frizzante! Eseguire lo squat in questo modo è letale.

Provate un semplicissimo esperimento, appoggiando la schiena ad una parete con le ginocchia a 90° e i piedi in avanti a simulare la posizione del disegno: sentirete subito una strana pressione dentro le ginocchia, uno strano “tirare”. Ora immaginate di caricare una cinquantina di Kg sull’attrezzo e andare in su e in giù…

Come sempre, il problema non è il multipower in se, ma l’uso che ne viene fatto.


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