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Predefinito Biomeccanica di base - Parte 2 - Biomeccanica del curl - 18-06-2007, 12:17 PM

Biomeccanica di base - Parte 2 - Biomeccanica del curl


Quante volte avete visto questo disegno? E’ un classico dei classici per far vedere quanto i nostri muscoli sono forti. F è la forza del bicipite, P è la forza peso data dalla massa del peso per l’accelerazione gravitazionale.

Quando l’avambraccio è parallelo al terreno la forza F è data dalla formula sopra riportata, che fa vedere come sia necessaria molta forza anche per un peso molto piccolo. E questo serve per dire che le leve sono svantaggiose bla bla bla…

Ma… vi siete mai chiesti perché i disegnino sono in questa posizione? Cioè… mai che l’avambraccio sia più o meno piegato… E che succede in altre posizioni? Boh… In altre parole, che cosa ci fornisce questo modello?

Bene, vediamo perché ce lo fanno sempre vedere in questo modo.

In ogni movimento che fate i vostri muscoli tirano un punto di un osso in definitiva. E mettono l’intero osso in rotazione. Nessun movimento generato dai vostri muscoli è lineare, ma sempre rotazionale. Provate. Qualunque muscolo ha una inserzione su un osso in un punto prossimale o distale rispetto ad una articolazione, che è un giunto. La contrazione muscolare determina una rotazione dell’osso intorno al giunto.

E’ sempre così, a meno che non abbiate ossa telescopiche e contranendo un muscolo queste si allungano o si accorciano… non credo.

Ma se considerate, che so… uno squat, il bilanciere sale e scende, cioè compie una traiettoria lineare. Questo accade perché è un movimento composto in cui la rotazione multipla dei vari segmenti corporei genera un movimento traslazionale lineare.
Da un altro punto di vista: i muscoli generano rotazioni di segmenti, le rotazioni si misurano grazie ad angoli e velocità angolari. I movimenti in sala pesi sono lineari, e si misurano in distanze e velocità.

Il passaggio dagli angoli alle distanze avviene grazie alla trigonometria, perciò aspettatevi formule gonfie di seni e coseni, per la vostra gioia. Questo rende la trattazione molto più ostica per il palestrato medio che vuol sapere se 3x3 è per la forza e 8x8 è per la massa… e questo è il motivo per cui non le vedete mai negli articoli divulgativi. Perché allontanano i lettori. Come contropartita, però, le semplificazioni che si vedono sono troppo semplicistiche, tali da essere inutili.
Bene, torniamo al nostro curl con manubrio. Ridisegnamo il primo schemino in maniera un po’ più formalizzata.
Ho inserito un angolo, theta (chissà perché si usa sempre questa lettera… mah…) che rappresenta la rotazione dell’avambraccio sul braccio. La forza F del bicipite farebbe ruotare in senso antiorario l’avambraccio, la forza P del peso lo farebbe ruotare in senso orario.

Dobbiamo ora considerare, rispetto al gomito, il rispettivo braccio di applicazione di ognuna delle due forze, che con un minimo di trigonometria di base sono dati da.
Le formule nel disegno mostrano perciò i momenti delle due forze. Poiché il peso sta fermo in quella data posizione o si muove di velocità costante, la somma dei momenti delle delle due forze deve essere pari a zero per la prima legge della dinamica (o per l’equazione della statica che dir si voglia). Da cui l’uguaglianza mostrata, da cui la formula della forza F.

Ma… che significa questo? Abbiamo ritrovato la solita formuletta di prima! Ma questa ora è valida per QUALUNQUE angolo! Grande risultato! Ma errato. Pensateci. Ciò significa che in qualunque punto della traiettoria il vostro bicipite compie lo stesso sforzo. Sia quando il manubrio è lontano da voi che quando è vicino… come è possibile? Infatti, è un errore.

E’ interessante comprendere da dove viene l’errore: c’è una supposizione che non ho evidenziato. La forza F è SEMPRE parallela al vostro omero. Cioè forza peso e forza del bicipite sono sempre paralleli fra loro. I bracci di applicazione delle forze pertanto crescono e decrescono insieme, lasciando inalterato il loro mutuo rapporto.

Questo porta ad un risultato errato. Errato alla prova dei fatti. Ve ne eravate accorti? Se la risposta è no, considerate la semplicità di questo modello che è disarmante. Eppure avete toppato…

Prima lezione: modelli troppo semplici sono quasi sempre errati.
Ma giusto! E’ chiaro! Come non averti pensato! Ma chi l’ha detto che il bicipite genera una forza sempre parallela all’omero! Il bicipite è attaccato alla spalla in un punto in modo tale che la forza è come nel disegno sopra riportato, no? Basta rifare i conti e ho la soluzione! ’introduzione di quel semplice segmento obliquo e della distanza d3 fra gomito e punto di inserzione prossimale del bicipite genera diverse complicazioni nel calcolo, che comunque vi risparmio.
Ricalcolo il tutto et voilà! Le nuove formule.

Notate quanto sia ben più ostica della precedente. Consideriamo la seconda: C’è una dipendenza da theta perciò a seconda dell’angolo si ha una variazione della forza, e questo è quanto volevamo, no? Bene, è più complicata ma in fondo che ci frega, metto tutto dentro Excel e siamo a posto.

Ma ora consideriamo la prima formula, che è il momento della forza F che non dobbiamo mai dimenticarci che rappresenta il nostro bicipite. Quando theta vale 180° (ok, dovrebbero essere radianti e non gradi, ma è per capire…), il momento della forza vale zero. E’ corretto che sia così? Ragioniamo. In questo caso potrebbe anche andarci bene: quando l’avambraccio è penzoloni, il manubrio non genera rotazione, e così non devo nemmeno tenerlo in equilibrio.

Ma cosa succede se io ho il braccio in orizzontale su una panca Scott? Quando il braccio è tutto esteso il momento della forza del mio bicipite vale zero. Cioè il mio bicipite non riesce a mettere in rotazione il mio avambraccio. Possibile? Infatti, non è possibile, no?

Questo significa che il modello è nuovamente errato. Cioè: i calcoli sono giusti, ma sono fatti su premesse sbagliate.

Seconda lezione: non fatevi impressionare dalle formule. Infarcire gli articoli di formule può servire a darsi solo un tono, un po’ come uno che fuma e sembra essere quello che in realtà non è. Non è detto che un modello complicato con formule complicate sia corretto.

Ma… e allora? Semplice no, complicato nemmeno?
Vediamo le cose da un altro punto di vista: possibile che una articolazione così complessa come il gomito sia rappresentabile con due stanghettine semplici semplici? Questo è il vero errore di semplificazione. Basta guardare un atlate di anatomia e si scopre che non è così. Vi faccio un disegno veramente brutto, ma spero che la vostra curiosità vi porti a scartabellare un po’ Internet.
Come vedete, l’ulna si articola nell’omero con una articolazione a cerniera. Quando fate un curl voi supinate l’avambraccio, perciò il radio si trova sopra l’ulna. Sul radio c’è un punto detto tuberosità radiale che è il punto in cui il tendine del bicipite si inserisce.

Notate il braccio della forza F del bicipite nel punto in cui l’avambraccio e il braccio sono fra loro perpendicolari.

Consideriamo ora il caso in cui l’avambraccio sia completamente esteso.

E’ interessante notare che, per come è fatta l’articolazione stessa, c’è sempre un braccio per la solita forza F del bicipite. Il muscolo riesce cioè sempre ad avere una leva! Questa leva, per quanto più piccola rispetto alla situazione precedente, permette alla forza F di agire. Analogamente nella posizione opposta, in chiusura, dove ci sarà una leva “corta” rispetto al caso a 90° ma pur sempre diversa da zero.

Lo studio dell’articolazione permette di comprenderne il funzionamento, passando da semplici stecchini a qualcosa di più realistico. Matematicamente, come possiamo esprimere un braccio meccanico in questo modo? Deve avere un minimo a zero e a 180°, e un massimo a 90°. Nel disegno sopra riportato c’è una formula per questo tipo di braccio.

Una domanda sorge spontanea… come si fa ad essere sicuri che proprio questa sia la formula corretta per il braccio della forza del bicipite? Infatti, non siamo sicuri. Però è qui che entra in gioco la modellazione (e la successiva analisi sperimentale di conferma che però, ovviamente, noi non facciamo): abbiamo compreso come funziona il gomito, perciò abbiamo capito quello che succede. Lo esprimiamo in un linguaggio matematico. Potrebbe essere una forma differente, però l’importante è che qualunque formula proposta il braccio della forza deve essere diverso da zero all’inizio e alla fine del movimento, e nel centro deve avere un valore massimo.

Qualunque altra formula va bene. Cambieranno i risultati quantitativi ma non quelli qualitativi. In altre parole, modellato BENE il problema, il resto sono conti. Fate il confronto con i due esempi precedenti. Erano minati alla base, non nelle formule!
A questo punto, siamo in discesa. Possiamo ricalcolare i momenti delle due forze ed uguagliarli per ricavare la forza del bicipite.

Importante: anche in questo caso ho considerato la forza del bicipite come parallela alla direzione dell’omero, come nel primo esempio, quello sbagliato. La differenza è che in questo caso il braccio della forza è calcolato correttamente, nel primo caso invece questa supposizione mi portava in errore. Si potrebbe dimostrare, ma ve lo risparmio perché è oggettivamente pesante, che nel caso che questa supposizione non sia vera, l’errore commesso è in questo caso piccolo da non inficiare il senso della trattazione.

A questo punto, per rendere più fruibile il modello, inserisco la possibilità di avere l’omero non in verticale completa. Del resto, chi esegue il curl con manubrio con il braccio dritto verso il suolo? E così posso anche studiare il caso del curl alla panca Scott. Questa è la formula che andremo ad analizzare.
Per comprendere il significato dell’angolo gamma si deve fare riferimento al disegno di seguito riportato: gamma è l’angolo che sussiste fra l’omero e la verticale rispetto al suolo. Questo angolo va ad influenzare esclusivamente il momento della forza peso.
Alla fine la formula che abbiamo ricavato per il semplice curl con manubri modellato con un po’ di stanghettine è relativamente complessa.
Vediamo di ricavare la curva della forza statica, cioè la curva che ci dà, per ogni angolo theta, la forza necessaria a tenere il manubrio fermo in equilibrio.
Consideriamo un manubrio da 20Kg, un avambraccio (compresa la mano) lungo 32cm, un braccio della forza del bicipite che va da un minimo di 2cm ad un massimo di 3cm.

Il grafico sopra riportato descrive due casi per fare un raffronto: la curva blu è un curl in piedi con l’omero “un po’” in avanti, cioè con un angolo rispetto alla verticale di circa 10°; la curva viola è il caso di un curl alla panca Scott inclinata di 45°. In ascissa sono riportati i valori dell’angolo theta mentre in ordinata sono riportati i Kg equivalenti che il bicipite deve sviluppare: usare i Newton cioè le unità di misura della forza è poco significativo per noi palestrari. Per passare dai Newton ai Kg equivalenti basta dividere questi per 9.8 (cioè il valore della costante gravitazionale). Notate che bei Kg si devono sviluppare per soli 20Kg di manubrio…

Ricaviamo perciò una prima indicazione di questo studio: la panca Scott mette sotto stress il bicipite molto di più di un curl in piedi. A parità di esecuzione, ovvio. La panca Scott ha un pregio, che qui non può risaltare: impedisce slanci e spinte del bicipite, perché il braccio non può oscillare indietro. Supponiamo che si riesca a fare un curl in piedi perfetto: la panca Scott è comunque superiore, perché il picco di forza che si ha vicino alla chiusura, a circa 160° è superiore al picco del curl in piedi.
Consideriamo il punto in cui il braccio e l’avambraccio sono perpendicolari (mettetevi in posizione), se volete: le due forze sono differenti, con il curl Scott a valori di forza inferiori. Ma via via che l’angolo aumenta, se siete in piedi la forza tenderà a scendere, mentre se siete alla Scott tenderà a salire.
Facciamo un altro esempio, stavolta numerico. Consideriamo la solita posizione con braccio e avambraccio perpendicolari fra loro. Facciamo un po’ di cheating e ruotiamo le spalle in modo da far salire i gomiti con la forza dei deltoidi.
La forza che il bicipite deve sviluppare calerà di brutto, come si vede nel grafico sopra riportato: in ascissa ci sono i valori dell’angolo gamma, in ordinata i Kg equivalenti che il bicipite deve sviluppare tenendo sempre braccio e avambraccio perpendicolari.

Si passa da 210Kg equivalenti a 107Kg equivalenti. Una diminuzione del 50%! E questo senza slanci o strappi. Quando ruotate le spalle, vanificate l’esercizio di un bel po’!

Il modello ci permette di fare un piccolo studio sul “fattore genetico”. Supponete che la conformazione delle ossa così come presentata sia effettivamente la media nazionale. Ci sarà chi ha comunque uno scostamento negativo, mentre un altro ne avrà uno positivo.

Supponiamo che siano del -5% e del +5% sulla conformazione del braccio della forza F.

Si parla di frazioni di millimetri!
Numericamente, si vede che questo 10% di variazione che corrisponde a frazioni di mm si ripercuote sulle curve e al picco sui 155° si ottiene una differenza fra il caso minimo e il caso massimo di 25Kg equivalenti.

In altre parole, a parità di Kg ci sarà chi è più sfortunato di altri, e qui stiamo veramente parlando di variazioni minimali.

Se consideriamo una persona che ha anche l’avambraccio più corto di 2cm, questo tizio dovrà sviluppare ulteriori 15Kg equivalenti in meno per tenere lo stesso peso. E’ il gioco delle leve!

Al termine di tutto questo spero di avervi fatto vedere come uno dei movimenti più semplici che eseguiamo in palestra sia in realtà molto complicato da descrivere con un minimo di correttezza. Considerate quanto possa essere complicato un modello relativo allo squat!

Questo modello verrà successivamente ampliato e dettagliato, secondo il paradigma del “riciclo”: è didatticamente valido perché semplice da risultare descrivibile (e comprensibile) con sufficiente facilità, ma anche complesso per evidenziare le peculiarità dei “gesti” da palestra.

Il passo successivo è passare dalla statica alla dinamica. Che succede infatti quando slanciamo, tiriamo, strappiamo? Come per questo caso, dobbiamo dotarci degli strumenti necessari per comprendere quello che succede.


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