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Predefinito La legge universale dell'allenamento - 12-06-2007, 07:15 AM

La legge universale dell'allenamento


E’ dal 2004 che frequento i forum di bodybuilding e powerlifting. Dopo 23 anni di pesi, 3 di forum, 1 e mezzo di PL, dopo aver conosciuto persone eccezionali, virtuali e reali, dopo essere riuscito ad infortunarmi in svariati modi (l’ultimo dei quali all’articolazione sacroiliaca sinistra di cui ignoravo l’esistenza), dopo averle provate tutte, dopo aver letto di tutto… fiuuuuuuu vorrei fare il punto della situazione di quello che ho capito e che vorrei fare.

Parlerò di argomenti “avanzati”, di cose che il principiante non ha ancora affrontato e non deve affrontare (ma che se conosce è meglio per lui), di problematiche per chi è molto che si allena ad un livello buono. Ve lo preannuncio, sarà un “articolo” un pochino snob, con quel tono di “colui che sa” che tanto infastidisce anche me. Però vi prego di avere pazienza, sopportatemi! Sarò anche provocatorio e assolutista, ma del resto un po’ vi devo incuriosire, no

Darò una risposta alla madre di tutte le domande (fate tutti “oooooooh”): esiste una legge universale sempre vera che mi dica cosa si deve fare per diventare sempre più grossi e più forti?

Incredibile, la risposta è: esiste, ma… non so quanto vi piacerà. Non solo: questa risposta vi sembrerà confusa e assurda per i vostri fini, ma continuate a leggere. Arriveremo in questo e in altri articoli al dunque.

Vedetela comunque anche al contrario: se esiste questa legge, comprenderla vi permetterà di capire perché le cose non funzionano (quando non funzionano), dato che basterà studiarne la negazione.
Una precisazione metodologica: per apprendere cose nuove dovete purgare la vostra mente di preconcetti, di schemi mentali che frenano l’apprendimento. Questa frase che sa di mistico e che serve a fare scena nei corsi di autocoscienza, nel nostro caso si esplicita così: dovete smettere di pensare a tutto quello che ruota intorno al nostro organismo in termini di “mi serve per diventare grosso”.

C’è cioè una forma mentis del palestraro medio che lo porta a mantenere nel cervello solo le informazioni che riguardano la “grossezza muscolare”. Il resto non serve. Alla fine sembra che le fibre rosse poco ipertrofizzabili siano una malformazione congenita oppure non si capisce perché debba esistere un ormone catabolico, perciò demoniaco, come il cortisolo: possibile che l’organismo permetta l’esistenza di queste aberrazioni? Chi fa così, ragiona a senso unico. E, fidatevi, questo senso è sicuramente sbagliato e porta ad un vicolo cieco. Prima abbandonate questa visione, prima imparerete qualcosa.

Perciò, per capire come mai certi allenamenti funzionano e altri no, dovete considerare il bodybuilding come un sottoinsieme molto ridotto della vostra attività primaria: la sopravvivenza.

Il compito ultimo del vostro corpo è sopravvivere all’ambiente intorno a lui. Questo e basta. Non è fatto per avere il six pack addominale o i femorali a goccia, perciò non sa distinguere fra un hack squat, una pressa orizzontale o un macigno che dovete sostenere per non essere schiacciati. La sopravvivenza all’ambiente per perpetrare la vita è il fine ultimo di ogni organismo del pianeta, dal paramecio più insignificante che non ha coscienza della sua esistenza allo scienziato che studia i primi microsecondi dell’Universo alla ricerca di Dio.

La sopravvivenza si attua con un adattamento agli stimoli che l’ambiente stesso fornisce. Viceversa, l’adattamento è la strategia che l’organismo attua per sopravvivere.

Se l’adattamento è la chiave, l’adattamento va studiato. Il modello attualmente accettato definisce adattamento come la messa in atto di una soluzione che un individuo fornisce a un determinato problema postogli dall’ambiente. L’ipertrofia è uno e mi raccomando, uno, degli adattamenti che il corpo attua per sopravvivere all’ambiente. Non c’è niente di miracoloso, semplicemente siamo noi che gli diamo tutta questa importanza. Noi frequentatori delle palestre. Chi è un patito di videogiochi (io lo sono, perciò farò sempre questo esempio), sviluppa nuove abilità di coordinazione mani-occhi e riesce a finire i quadri a livelli sempre più terrificanti.

Se una macchina avesse le stesse vostre capacità di adattamento, diventerebbe una 4×4 su un terreno sconnesso e una macchina da corsa in pista. Invece questo non è possibile, e noi siamo costretti ad avere due oggetti diversi per due ambienti diversi. Il corpo umano invece può affrontare entrambe le situazioni.

Considerate però questo ulteriore aspetto: il corpo umano si adatta all’ambiente ottimizzando al massimo la soluzione al problema che l’ambiente stesso gli ha posto: è il principio dell’efficienza, l’adattamento si manifesta con le risorse minimali per risolvere il problema. Quelle e null’altro, perché disperdere energie per uno scopo che va oltre la richiesta imposta dall’ambiente si risolverebbe con uno spreco e una carenza per sopperire ad altri stimoli. L’adattamento è, perciò, specifico. Banale: possiamo essere molto forti ma non molto resistenti. Possiamo essere entrambe le cose, ma non allo stesso livello di performance delle due singole richieste. Perché nel primo caso il “problema” sarà “essere forti” o “essere resistenti” e l’adattamento sarà specifico, nel secondo caso il “problema” sarà “essere forti E resistenti” cioè un problema diverso e più complesso. Voi siete sempre voi: le risorse sono le stesse e si ripartiscono semplicemente in maniera diversa.

Voi sopravvivete per una risposta specifica ad uno stimolo. L’attività in palestra rappresenta una metafora di questa situazione, una specie di commedia della vita: l’allenamento è il “problema” che l’ambiente vi pone, la risposta all’allenamento è l’adattamento a questo problema. Adattarsi per sopravvivere alla palestra.

Ma come l’adattamento si manifesta? Cioè come la “soluzione” al “problema” evolve nel tempo? Una delle “leggi” universali la cui applicazione ci servirà per migliorare sempre è quella che Zatsiorsky definisce accommodation law e che Poliquin chiama legge degli miglioramenti decrescenti (per la cronaca, sappiate che quando cito Zatsiorsky io ho letto UN UNICO suo libro, cioè tutto questo puzzo per un libro solo, mah…).
La accommodation law asserisce che un oggetto biologico sottoposto a stimoli costanti risponde con adattamenti decrescenti allo stimolo stesso. Marchiate a fuoco questa frase nei vostri neuroni perché è questa che determina il successo dei vostri allenamenti. Questa, e null’altro.

La figura successiva è una esemplificazione di quanto asserito. Mi raccomando: una esemplificazione, che non significa rappresentazione esatta.

Il “problema” che l’ambiente vi pone è la “prestazione obbiettivo” che volete raggiungere.

Supponete che vi si rompa l’ascensore e siate costretti a farvi 5 piani a piedi, cosa succede? Il problema consiste nel sopravvivere alle 5 rampe di scale, lo stimolo è fare sempre le scale a piedi. Se la prima volta dovete stare attenti a non inciampare nella vostra lingua, dopo poche volte riuscite a farcela con molta meno difficoltà e dopo poche volte ancora sarà quasi normale fare 5 piani di scale a piedi. Vi siete adattati allo stimolo e non c’è bisogno di migliorare ulteriormente.

Una volta raggiunto l’adattamento, non c’è motivo per cui l’organismo “migliori” ancora. In altre parole, all’inizio, nel tempo T1 otterrete un buon miglioramento, che chiameremo P1. ma nei successivi intervalli di tempo identici fra loro, il miglioramento sarà sempre meno. Per l’efficienza dell’adattamento stesso, è più conveniente non dirottare energie nel miglioramento di un qualcosa che non ha bisogno di essere migliorato.

Chiaramente, c’è un limite a tutto questo: se le rampe fossero 100 fareste un botto alla prima. Cioè accadrebbe una cosa del genere:


Se l’adattamento richiesto è troppo, il vostro organismo non ce la fa, e crolla. Potete abbronzarvi se sottoponete la vostra pelle al giusto tempo sotto il sole, mentre se la prima volta che andate al mare vi piazzate nudi alle 2 di pomeriggio senza crema protettiva, l’unica cosa che potete fare è sperare di avere un pronto soccorso vicino perché la flessione della curva del disegno equivale ad una ustione di secondo grado.

Se invece di 100 rampe di scale, queste fossero 10, cioè un “problema” difficile ma non impossibile, ecco il risultato:

Riuscite cioè ad adattarvi all’ambiente, ma non potete mantenere questo adattamento. Perché, come sempre, l’adattamento è un processo dinamico, un equilibrio instabile. 10 piani di scale si possono fare continuativamente solo se siete in salute, se non avete borse della spesa, se avete dormito bene di notte, se… Per “stimolo” infatti si intende la somma di tutte le richieste ambientali, i 10 piani E tutto il resto. Tutte queste cose possono variare anche nel caso di 5 piani, ma la somma di tutti gli stimoli compresi i 5 piani anche nel peggiore dei casi è sempre sopportabile dal vostro organismo, mentre se sostituite 5 con 10, ci saranno momenti in cui lo stimolo totale è oltre la capacità di adattamento del vostro organismo, e ricadete nel disegno con la curva che crolla.

Non so se riuscite ad intravedere un collegamento con quello che fate in palestra: come mai riuscite a fare uno spettacolare massimale oggi al termine del megaprogramma russo ma domani implodete su voi stessi? Perché il massimale è uno stimolo inadattabile. Se lo fosse, non sarebbe un massimale, ma qualcosa di gestibile in qualunque condizione, cioè uno stimolo non massimale… Mi raccomando: per “massimale” non si intende solo la singola di squat, ma una qualunque attività al limite, anche una serie 1×20 o 2 ore di cyclette a 200 battiti al minuto. Quando centrate un massimale avete raggiunto il culmine dell’adattamento specifico alla domanda che avete espresso al vostro organismo, e lo avete raggiunto nelle condizioni interne ed esterne ottimali. Come tutte le attività al limite, un cambiamento infinitesimale di una qualunque di queste condizioni vi porta a non essere in grado di ottenerlo di nuovo.

Ok, ma a noi di fare 5 piani di scale non ce ne può fregare di meno, perché tanto non ci fanno diventare le gambe grosse, possiamo prendere l’ascensore. Ecco un esempio che ci piace di più: supponete di fare squat sempre e solo in 3×8. All’inizio otterrete un buon miglioramento nel senso che riuscirete a mettere sempre più peso sul bilanciere, ma successivamente, il miglioramento sarà sempre più ridotto, e alla fine cesserà.

C’è una differenza sostanziale fra i 5 piani di scale e questo 3×8.
Nell’esempio precedente lo stimolo è veramente fisso (i 5 piani di scale), nello squat il carico varia di volta in volta, cioè lo stimolo è sempre incrementato. Perciò la progressione cessa se ad esempio lo stimolo è troppo elevato, cioè se carico troppo.

Se caricassi di meno, o con incrementi sempre più piccoli, potrei proseguire. Oppure, potrei fare un 3×8 a carico costante, adattarmi, poi incrementare nuovamente il carico, adattarmi e così via. Posso incrementare sempre di meno il peso, in maniera da poter riuscire ad adattarmi comunque. Cioè potrei fare così:


Notate che se possiamo vincere diverse battaglie alla fine la accommodation law vince la guerra: la curva tratteggiata che inviluppa i singoli pezzi di adattamento è un’altra versione della solita curva! State facendo sempre le solite cose e questo porta all’adattamento del vostro corpo e perciò alla fine i miglioramenti cessano, perché
A) lo stimolo diventa comunque troppo intenso. Se avete 150Kg di massimale, anche se partite con 3×8x20Kg, alla fine non riuscirete mai a fare 3×8x150Kg con questo metodo. Spero che non ci sia da discutere su questo punto.
Oppure accade questo
B) gli incrementi di peso sono così contenuti che non vengono più percepiti, perciò state sottoponendo il vostro corpo a stimoli costanti, a cui segue la stasi.

Voglio ripetervelo con altre parole perché questo è il fulcro del tutto: il corpo risponde agli stimoli con un adattamento. Stimolo = allenamento, adattamento = miglioramento. Se lo stimolo non è sufficiente, non c’è miglioramento. Se lo stimolo è troppo, è inadattabile, perciò niente miglioramento. Se lo stimolo è statico, sempre uguale, l’adattamento c’è ma poi cessa, perciò non si migliora più.

Vi riconoscete in situazioni simili? Io si! I miei primi cicli di allenamento prevedevano di incrementare il carico ogni volta che raggiungevo, che so… 3×6 con un certo peso, poi incrementavo di 5Kg e ripartivo da un 3×4, cercavo di “abituarmi” al carico e incrementavo di 1 o due ripetizioni. Alla fine, situazione A o situazione B. Inutile che ridiate, vi vedo. E so benissimo che anche voi avete fatto così, con gli stessi, identici risultati.
Bingo! Ma allora io passo da 3×8 a 4×6, poi a 5×3 e il peso continua a crescere! Arrivo a fine ciclo e prima che ci sia la stasi, scarico il peso e riparto con un po’ di Kg in più. Grande! Evvai, fottuta la accommodation law. E, funziona!



Ogni piccola curva è un gruppo 3×8, 5×4, 6×3, tenuto per un po’ e poi variato. Nel primo caso continuo sempre ad incrementare il peso, nel secondo sono ancora più furbo e torno un po’ indietro. Chiaro che cambiando tipo di stimolo il miglioramento prosegue: se il carico cresce, il lavoro da fare con quel carico diminuisce, mantenendosi sopportabile per l’organismo. Perfetto. Posso continuare così all’infinito. Del resto, ho trovato una strategia che mi permette di andare avanti per mesi, no?
Nel tempo, però, anche questa strategia mostra la corda. Il disegno successivo mostra un comportamento classico ripetendo cicli su cicli, i gruppi successivi mostrano sempre meno miglioramento rispetto ai gruppi precedenti. Incredibile! L’inviluppo è sempre la solita curva!


Facevate tanto i ganzini, ma è stata l’accommodation law a fottere voi!
Il problema è che gruppi di 3×8-5×4-6×3 su una scala temporale più ampia sono sempre la stessa struttura allenante. Perciò, ricascate nei casi descritti precedentemente, situazione A o situazione B.
E’ chiaro che stiamo parlando di una evoluzione che magari è annuale, perciò nel frattempo avrò ottenuto miglioramenti fuori dal comune, ma io mi rivolgo a coloro che si allenano da anni, 5, 10, 15 anni, non al tizio che ti dice con la sigaretta in bocca che “è quasi 2 anni che mi alleno!” Come riuscire ad allenarsi nel tempo senza incorrere nello stallo?

Per anni ho fatto cicli di panca per migliorare il massimale, e tutti terminavano con cose tipo 3×3, 2×2, 1×1. Era come sbattere in un muro. Sono partito anche da cose tipo 10×10 con 1’ di recupero, ma… niente. Eppure all’inizio funzionavano così bene… Il problema è che dilatando la scala temporale, ci ritroviamo al solito punto: facciamo sempre le stesse cose, di anno in anno.

Ancora, c’è un aspetto correlato alla mia legge preferita: la velocità di adattamento è proporzionale al livello di adattamento stesso. In altre parole, più siete forti, più i miglioramenti avverranno più velocemente e pertanto più velocemente arriverete all’adattamento e alla stasi!
Disegnino, please!


Se nel primo ciclo lo stimolo ha portato ad un certo miglioramento in due intervalli di tempo, nel secondo ciclo il miglioramento è molto inferiore ma anche avviene tutto nel primo intervallo di tempo! Questo accade perché voi siete diventati troppo bravi!

Abbiamo infatti detto che l’adattamento è una strategia di sopravvivenza che il corpo attua con tutta una serie di tattiche. Queste tattiche sono specifiche, perciò tratteremo solo quelle relative ai nostri pesi. Ce ne sono tante altre, ovviamente: se camminate scalzi, la pelle dei vostri piedi si adatta diventando più spessa o, chi tragicamente diventa cieco ha un potenziamento di tutti gli altri sensi. Specificità.
Nel caso del ferro spostato, le tattiche (alcune) di sopravvivenza sono, brevemente:
a) Miglioramento del reclutamento delle fibre muscolari – un principiante riesce a contrarre il 40% delle sue fibre muscolari. Più sottoponete a carichi crescenti i vostri muscoli, più il vostro cervello si adatta a contrarre sempre più fibre
b) Miglioramento della capacità di sincronizzare le contrazioni – più le fibre si contraggono in fase fra loro, più riuscite a generare forza. Questa capacità è allenabile, cioè a fronte di stimoli (carichi) il cervello si adatta a sincronizzare meglio i propri segnali elettrici
c) Miglioramento della coordinazione intermuscolare: chiaro che se contraete i tricipiti quando fate un curl di bicipiti, non è che possiate andare da molte parti… ma ricordatevi di quando avete imparato a fare la panca e sparavate il bilanciere di lato o in avanti: imparato il movimento, la forza è aumentata.
d) Aumento della massa contrattile muscolare, che è quella che tanto ci interessa.

Di sfuggita, vi prego di notare che l’ultima tattica è la meno efficiente di tutte le altre, perché presuppone un apporto esterno: il cibo. Nessuno diventa più grosso se non mangia adeguatamente, mentre le altre forme di adattamento sono una ottimizzazione di quello che già c’è. Questo è il motivo ultimo per cui è più facile diventare forti che grossi: perché diventare grossi è antieconomico. Se per sopravvivere all’ambiente esterno ci occorresse più forza e questa dipendesse dalla nostra massa muscolare, chi non può accedere a risorse alimentari perirebbe: complessivamente la sopravvivenza della specie sarebbe minacciata. Pensateci: essere grossi è antievolutivo, per quanto a noi piaccia.

Dovrebbe essere più agevole ora comprendere perché più siete “bravi” e più i cicli di allenamento arrivano prima allo stallo: quando il vostro corpo è stato ottimizzato in tutti i suoi aspetti, non c’è più niente da ottimizzare. Se all’inizio siete migliorati di 60Kg nella panca da 80Kg a 130Kg, avete adattato (cioè ottimizzato) tutti i meccanismi sopra esposti. Ulteriori adattamenti con gli stessi stimoli allenanti sono inferiori, dovuti alla quota residua di adattamento possibile. Poiché la quota residua di adattamento è proprio esigua, a fronte di uno stimolo ci vuole sempre meno per adattarsi.
Ora abbiamo elementi per comprendere un aspetto fondamentale che è sorprendente: ogni ciclo di allenamento è destinato ad arrivare a termine. Sempre. E questo non è un “errore”, non si è sbagliato nulla. Perciò, non è una questione di scarico, di fatica, di troppo volume di lavoro. Anche se fate le cose al meglio, arriverete alla stasi.

Questo è un punto importante che dovete assolutamente comprendere per evitare madornali errori. Molto spesso leggo di persone che non capiscono perché non migliorano più. Pensano di essere sovrallenati, di dover riposare, di rarefare gli allenamenti. Invece, semplicemente stanno eseguendo sempre la stessa roba e lo stimolo non è più adatto ad avere un miglioramento.

Anticipando un concetto che svilupperò nei prossimi articoli, mi rivolgo principalmente a coloro che si allenano da anni con costanza, ottenendo molto o poco da quello che fanno. Persone che hanno magari “abbracciato” una filosofia di allenamento e che l’hanno attuata con passione. Faccio a loro degli esempi, sparsi:

Esempio n°1: nell’HST, un metodo che prevede una progressione di carico in 6 settimane da 2×15 a 2×5 per 3 full body settimanali, ci sono al termine del ciclo 2 settimane di “decondizionamento strategico”. Leggetevi la trattazione. Poi ci sono tutta una serie di tattiche sui carichi e sui cicli. Tutto questo serve a permettervi di proseguire ancora con nuovi cicli di allenamento, di evitare l’adattamento. Il "decondizionamento strategico" vuole essere un sistema per perdere adattamento ed ovviare allo stallo.
Il problema dell’HST, ma anche dell’EDT, del BIIO, di McRobert, dell’Heavy Duty, di tutti i “metodi”, cioè di sistemi buoni ma che determinano set di regole per allenarsi, è che queste regole generano stimoli che negli anni sono sempre uguali. Se, cioè, l’HST funziona la prima volta, la seconda volta, la terza volta, la quarta volta non funzionerà più perché voi sarete troppo bravi nel fare delle full body trisettimanali. Perciò o il carico è eccessivo, oppure è deallenante. Siete troppo bravi nel raggiungere velocemente il picco di forma.

Esempio n° 2: Sono fermamente contrario all’uso dei microcarichi, proprio per l’accommodation law: quando l’incremento è dell’ordine di 125gr sui 100Kg della seduta precedente, non è più un incremento. E’ percepito sempre come se fosse lo stesso peso. Perciò, fine dei risultati. Ok, c’è gente che con i microcarichi va avanti 20 settimane. Ma cosa ottiene? E ancora, se incrementate di 50Kg in un anno da 80Kg a 130Kg di panca con i microcarichi, quanto riuscirete a fare l’anno successivo? Il punto è questo: come allenarsi per anni e anni con questo sistema? Adattamento, fine dei lavori.

Quanti, cioè, che decantano le lodi di un metodo pur buono, si allenano allo stesso modo 5 anni dopo, o 10 anni dopo? Ben poche con risultati. Rifletteteci, poi amplieremo tutto questo. Cercate di capire il motivo dei vostri fallimenti in palestra.



Vi prego di non sentirvi “offesi” per quello che ho scritto, e vi prego anche di avere l’umiltà di valutare il vostro stato di forma rispetto a quanto espresso: io mi rivolgo a persone che sono anni che si allenano con costanza. Chi non lo fa, si trova nella condizione del disegno sotto riportato, che ora risulta di più facile comprensione.
La figura rappresenta la vostra evoluzione, con la linea tratteggiata l’andamento dell’adattamento ottimale. Voi non lo raggiungete mai. Inutile avere un programma perfetto se poi non viene eseguito. Pensate a questo: siete costanti? Se non lo siete, la accommodation law spiega perché non migliorate: il vostro corpo non ha nessuna esigenza di adattamento, dato che non lo sottoponete a stimoli, e quando lo fate, non riuscite ad arrivare alle vostre massime capacità di adattamento.

Per questo molti metodi funzionano nel tempo: non arrivate mai a stressarli a pieno. Non arrivate mai ai vostri limiti, e quelli che pensate lo siano, in realtà… non lo sono. Perciò ogni volta ripartite da capo. Il punto è che il corpo si adatta a quello che si sta facendo. A fronte di uno stimolo, reagisce, ma a fronte della carenza di stimoli, reagisce lo stesso. Perché mantenere tessuto muscolare che richiede un apporto energetico esterno se questo tessuto non serve? E’ uno spreco, poca efficienza. Perciò, il tessuto muscolare viene eliminato. Perché mantenere dei segnali elettrici più elevati se questi non servono? E così via.

Viceversa, i metodi di allenamento protratti nel tempo richiedono un adattamento costante nel tempo. Il corpo si adatta o, se non lo fa, crolla. Ma il destino di tutte le “ricette d’allenamento”, sia le più effimere, sia le più elaborate, è di arrivare a termine, perché non tengono conto delle mutate esigenze. Più tempo passa, più lo stesso stimolo diventa inadattabile: o siete già adattati, perciò state facendo una cosa inutile, o vi manca poco e rapidamente arrivate alla frutta, oppure l’adattamento è impossibile perchè richiederebbe degli stimoli oltre la vostra sopportazione.

Vi prego di notare un aspetto importante: il “fallimento” di un metodo non dipende dal vostro stato di forma “assoluto”: Se consideriamo metodi di allenamento funzionanti (non cose illogiche come il Power Factor Training o le X-Reps Double Loading), questi metodi non falliscono, che so… quando arrivate a 130Kg di panca. Sarebbe come dire che chi fa 130Kg di panca non può allenarsi con il metodo Tizio, cosa che non è vera. Falliscono quando l’incremento di carico che avete raggiunto è tale che l’adattamento è massimo. Ciò significa che il tipo che entra in palestra e fa 100Kg di panca, potrà arrivare a 180Kg, ma poi il metodo fallirà, su di lui come su di voi che siete partiti da 60Kg.

E’ una questione di incremento relativo al vostro punto di partenza. Nel mondo dei pesi questo aspetto non è mai considerato, e si riportano successi eclatanti perché si considerano i valori assoluti dei risultati ottenuti, non quelli relativi.

La comprensione della accommodation law determina i nostri successi in palestra, per questo la interpreto come legge universale per la crescita: più passa il tempo, più le vostre strategie (non tattiche) di allenamento devono cambiare, ricercando stimoli sempre più complessi. Non è sorprendete? Tutto quello che fate è destinato ad avere una fine, anche la migliore delle schede. E se volete continuare a progredire, dovete evolvere, dovete continuamente rimettervi in gioco. Perchè siete sempre più bravi in quello che fate.

In questo senso va intesa la frase "non esiste la scheda perfetta". Perchè se lo è adesso, non lo sarà più domani se voi avrete la possibilità di continuare ad allenarvi.
Come attuare questi cambiamenti, quali stimoli scegliere, fa parte dell’arte di allenarsi. Arte intesa nel senso originario del termine, sapere unito ad abilità. Non teoria, non pratica ma una fusione delle due, la somma che vale più dei singoli addendi.

Allenarsi è perciò un arte, che siete costretti ad apprendere se volete continuare a progredire per anni ed anni.
La accommodation law è l’unica legge universale nell’allenamento, perchè modella un principio biologico che accomuna tutti noi: la sopravvivenza all’ambiente.


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Predefinito 12-06-2007, 07:17 AM


Nell’articolo sulla accommodation law abbiamo identificato in questa la chiave del miglioramento continuo. Cerchiamo di approfondire come sia possibile applicare nella pratica questa legge.
Per capire i meccanismi del “miglioramento personale” in ambito palestra dobbiamo conoscere sì i meccanismi reconditi del corpo umano, l’ingegneria genetica, la nanochimica più incredibile e le ultime novità in fatto di mega-integratori tecnologici, ma anche non possiamo prescindere dall’evoluzione nel tempo di noi stessi. Anzi, questo aspetto è trascurato quasi sempre ma è quello che permette di capire tutte le dinamiche successive.

Mi spiego meglio. Se il giochino consiste nello spingere lo stimolo allenante costantemente in avanti, incrementandolo sempre, dobbiamo anche capire da dove partire. E’ cioè necessario identificare una specie di “scala prestazionale” dove ognuno di noi si posizionerà e sulla base della posizione agirà conseguentemente.
Mi raccomando: non piace a nessuno essere giudicato da altri. Però una corretta rappresentazione di se stessi è fondamentale per poi attuare le tattiche giuste e migliorare. Cito uno studio che lessi una volta su Focus al cesso da mio cognato, l luogo della più profonda meditazione e delle intuizioni geniali: lo studio riguardava l’ambiete e asseriva che dal sondaggio fatto l’80% delle persone risultava molto sensibile ai problemi dell’inquinamento, ma anche l’80% delle persone riteneva che “gli altri” non lo fossero. Come è possibile… semplice: ognuno di noi ha una percezione delle proprie capacità più alta di quella che è in realtà. Tutti pensiamo di essere dei geni incompresi quando in realtà gli altri hanno compreso benissimo che siamo dei rompicoglioni (ahhhh scusate, non ho resistito).

Perciò, nemmeno questa volta troverete la ricettina per fare 10Kg in più di curl per i bicipiti. Indicazioni più pratiche nella 3° parte. Qui no. Prendetelo come un articolo di “colore”.
Ripeto con altre parole: l’esistenza di una scala prestativa in palestra implica un nostro posizionamento all’interno dei valori a cui noi ci riferiamo. Questi valori sono tali, appunto, in palestra. Al di fuori non contano assolutamente nulla. Non è che se fate 200Kg di panca avrete un aumento al merito o più donne cascheranno ai vostri piedi, anzi, di solito è l’esatto contrario.
Le persone che bazzicano il mondo dei pesi si muovono su un percorso evolutivo simile a quello dei livelli di un videogioco:


A grandi linee, non è che abbia scritto delle castronerie complete: via via che la vostra esperienza aumenta, le vostre competenze e capacità in palestra migliorano. I singoli livelli saranno commentati in seguito, però la sensazione è che esista una scala prestativa. Aggiungo, che questi stadi evolutivi sono propri degli “atleti” ma anche degli “allenatori”. Cosa è comune e si differenzia nei passaggi evolutivi di una “scala da palestra”? Il carico che aumenta. Inutile girarci intorno, si passa di livello quando l carico aumenta.
Non è importante il valore assoluto iniziale, ma l’incremento rispetto all’inizio. Chi inizia con 200Kg di panca è in assoluto fortissimo, ma magari è un troglodita senza cervello che esegue senza capire. Chi parte con 60Kg e arriva a 140Kg attraversa invece alcune fasi di questa evoluzione. Anche questo vi torna, no?

In palestra c’è la barbara usanza che parla chi solleva di più. Questo è sbagliato, ma solo in parte. Mettiamola così: non è detto che il più forte sia anche il più esperto, ma a pedate è possibile dire che chi è migliorato di più in un tempo ragionevole, ha qualcosa da spiegare agli altri. Anche in questa affermazione empirica vi ci ritrovate, ne sono convinto.
Perciò possiamo dire che il miglioramento nel carico è un elemento che determina il vostro livello nella scala che ho descritto. C’è chi “migliora”, chi non “migliora”; il percorso attraverso questi livelli è assolutamente non lineare, per anni si può stazionare al livello due, poi di colpo passare al livello tre.

C’è chi obbietterà che il carico non è l’unico parametro di riferimento, che si vuole anche essere grossi e 1000 altre cose. Utilizzare il mero carico in Kg non è una scelta perfetta. Però è anche vero che un metro di riferimento ci deve essere se vogliamo che la palestra sia paragonabile ad un qualunque sport. Prendete come riferimento “avere 45cm di bicipite” e riadattate tutto quello che scriverò. Otterrete comunque qualcosa di simile: chi ha 45 di braccio partendo da 37 ha qualcosa da dire rispetto a chi da 44 è arrivato a 45.
Spero che concordiate con me che ci sono dei “livelli” più o meno identificabili: del resto è palese che il ragazzino che esegue le negative in panca con 50Kg stia facendo qualcosa che non è adatto a lui, perciò ognuno di noi ha un’idea quanto meno abbozzata dell’esistenza di una scala di performance in quello che si fa. A questo punto abbiamo gli elementi per stringere un po’ su quello che ci interessa. Ritorniamo ai livelli del videogioco della palestra:

Livello Australopithecus – vi aspettereste che questo livello sia popolato essenzialmente dai principianti, da quelli che imparano i rudimenti dell’esecuzione degli esercizi e che eseguono i primi schemi tipo 3×6. A questo livello si va in palestra senza alcuna conoscenza di come strutturare una “scheda”, ma si esegue sempre la stessa cosa, osservando e copiando quello che fanno gli altri. Ci si concentra di solito sul fare gli esercizi, non sul fare uno schema per un dato esercizio.

In un principiante il livello è così scarso che lo stimolo è il semplice frequentare la palestra imparando movimenti nuovi. Paradossalmente, in questa fase sarebbe necessaria una frequenza abbastanza elevata, molti esercizi, carichi medio-bassi ripetuti molte volte per imparare la tecnica. Imparare la coordinazione intermuscolare su movimenti nuovi, un carico medio per attivare il reclutamento. Variando esercizio lo stimolo sarà sempre diverso. Invece in questa fase si provano da subito tecniche di intensificazione, cedimento, negative, stripping, rest pause. Cioè stimoli ingestibili che rallentano i progressi. Quanti stazionano per mesi su 70Kg di panca fatti all’ultima serie di un 10-8-6? L’esclusione di movimenti quali squat o cose simili è un ulteriore motivo di creazione di squilibri.
Bene: vi ritenete superiori al livello australopitechus? Ma certo, mica siete come quei brufolosi che occupano la panca in branchi con esecuzioni da Fuoco di Sant’Antonio, no? Faccio però presente che questa fase non è che dura solo 3 ore. Chiunque dopo 10 anni non sappia ancora fare una trazione decente alla sbarra, sull’intero movimento, ha margini di adattamento apprendendo la tecnica nuova. Ci sono molti australopitechi che non sanno di esserlo, dato che vedo su youtube trazioni su ¼ di movimento per 10 ripetizioni con sovraccarichi assurdi, cioè gente non di primo pelo che pensa di essere brava quando non lo è.

Io stesso ho fatto squat parallelo per 14 anni pensando di non poter squattare più profondo perché i miei femorali bla bla bla, la mia caviglia bla bla bla, le mie leve bla bla bla. Cazzate. Ora squatto frontale sotto il parallelo. Perciò, stimoli più elevati per un semplice cambio di postura, senza mega-programma finnico-russo. Pensateci: uno stimolo decisamente più elevato, un nuovo miglioramento praticamente gratis.
Dico ora una cosa cattivissima, ma spero che vi scuota: è un australopiteco il tizio che fa la panca con i piedi sollevati pensando che lo stimolo allenante sia superiore alla versione con i piedi a terra. Il fatto che un esercizio sia più complicato di un altro non significa che dia lo stimolo migliore dal nostro punto di vista. Nella panca con i piedi sollevati devono lavorare moltissimo gli stabilizzatori per tenere il bilanciere in traiettoria. Il carico che potete gestire è perciò inferiore a quello della versione con i piedi a terra. Meno carico, meno stimolo sui muscoli.

Cioè: è più difficile, ma… serve? Per comprendere se serve o meno, dovete ricorrere ad un semplice procedimento di estremizzazione. Se è più utile la panca con i piedi sollevati perché è più difficile, fate la panca con i piedi sollevati E gli occhi bendati E uno che vi urla nell’orecchio una canzoncina tipo The Antichrist degli Stayer E una fase del 380V attaccata allo schienale. Ok, 50Kg di panca belli difficili. Fatela un mese, poi vediamo come è andata.

Quanti vedete che, senza particolari problemi di schiena, eseguono una panca con i piedi sollevati? Io molti. Uno stimolo superiore è fare panca con i piedi a terra. Non ci vuole la scala.
Livello Habilis – in questa fase si inizia a comprendere che ci sono dei metodi per fare le cose, e si sperimentano tutti. E’ qui che si iniziano a vedere i progressi, i successi, è qui che si prendono le prime batoste. Perciò è qui che si eseguono e funzionano le x-reps, le parziali, le burns: si scopre che c’è dell’altro oltre a fare gli esercizi. Si fanno le split. Questo è il periodo in cui si capisce che ci sono delle variabili nell’allenamento quali la frequenza e il volume, ma in maniera empirica e, se si vuole, emotiva. Di solito la strategia è che “2 è meglio di 1 e 4 è meglio di 2”, perché si vede che su di se tunziona. Questa è anche la fase in cui si provano le routine dei campioni, dove ci si allena 6 volte a settimana, dove ci si fa fare la schedona dall’amico grosso.

Cioè: finita la fase dell’apprendimento motorio i miglioramenti rallentano, ed è qui che empiricamente si capisce che esistono schemi e metodi. L’incremento di qualche variabile più o meno nota porta lo stimolo ad un livello superiore, facendo proseguire l’adattamento ed il miglioramento. In questa fase l’errore tipico è la non comprensione che le variabili sono interconnesse e che non ce ne è una preponderante sulle altre.
Tipicamente, la strategia del “più è e meglio è” porta ad incrementare la durata delle sedute, il numero delle sedute, il carico per esercizio. Solitamente, tutto insieme nel circolo perverso che all’inizio è vincente perché ci si sposta nella zona della parte sinistra della curva dell’adattamento, quella con una bella crescita. Poi, rapidamente, lo stimolo diventa troppo e c’è il crollo.

Nel livello due i progressi cessano per sovraccarico. E’ qui che si iniziano a comprendere le fasi dell’allenamento e i più attenti cominciano ad assimilare il concetto di scarico. In altre parole, in questa fase i progressi continuano o si interrompono a seconda del carico utilizzato, uno stress da sovraccarico, uno stimolo inadattabile.
La differenza fra questi due livelli è minima dato che il risultato finale è un raggiungimento di risultati oggettivamente scarsi. Chi non sale nemmeno il primo gradino, mi spiace, ma dimostra una scarsa intelligenza sociale: non capisce l’ABC dell’ambiente in cui si trova, la palestra. Chiaro che ognuno ha le sue priorità e poiché paga è libero di fare quello che vuole in palestra, ma proprio perché paga, se 10’ a seduta impegna il cervello nel comprendere quello che sta facendo magari spende meglio i suoi soldi, e nei restanti 50’ può dedicarsi alle giuste attività di caccia al perizoma con scopi riproduttivi.

Il livello due è caratterizzato dalla “voglia di far bene” ma senza una grande organizzazione. Per questo lo stimolo allenante viene applicato solitamente in maniera discontinua e quando è applicato magari è inadatto e porta ad un sovraccarico. Del resto, uno che va in palestra da 5 anni ma per 4 mesi l’anno e si ritiene un “atleta evoluto”, quando in realtà non lo è.
La spiegazione della mancanza di successi è sempre l’accommodation law.


Molti stazionano sul livello australopithecus o sul livello habilis tutta la vita. Non tutti hanno la passione o la pazzia di essere costanti in palestra. La costanza infatti permette al corpo di essere sottoposto a stimoli ripetuti, perciò l’adattamento può arrivare a livelli molto elevati o quanto meno è possibile arrivare a dei crolli.
Sono queste le esperienze che poi portano ad un passaggio di livello. Come in un videogioco, chi persevera finisce il quadro. Chi per lavoro, perdita di interesse, non-fissazione estrema, infortuni, problemi familiari o altro non riesce ad essere costante, porta il suo corpo ad un deallenamento per carenza di stimoli. Quando ritorna ad allenarsi, lo stimolo a cui può sottoporre il suo corpo sarà inferiore a quello a cui era arrivato, perciò gli ci vorrà del tempo per tornare al livello che gli permetterebbe di… passare di livello. Magari c’è un altro impedimento et voilà… non raggiunge mai la soglia di stimolo tale da determinare un adattamento superiore.

La figura rappresenta la vostra evoluzione, con la linea tratteggiata l’andamento dell’adattamento ottimale. Voi non lo raggiungete mai.
Molti non vanno oltre questo livello perché non riescono a portare in fondo il programma di allenamento personalizzato di Poliquin. Inutile avere un programma perfetto se poi non viene eseguito. Pensate a questo: siete costanti? Se non lo siete, la accommodation law spiega perché non migliorate: il vostro corpo non ha nessuna esigenza di adattamento, dato che non lo sottoponete a stimoli, e quando lo fate, non riuscite ad arrivare alle vostre massime capacità di adattamento. Ribadisco: non è che se non siete costanti in palestra siete dei cattivi padri di famiglia. Semplicemente, il vostro corpo si adatta a questo.

E’ però importante identificare se la mancanza di costanza è un elemento presente nel vostro allenamento. A questo livello un nuovo stimolo, superiore di intensità, non è dato tanto da quello che fate, ma dal fatto che lo facciate con costanza. Meglio un programma di merda ma eseguito con costanza che la scheda perfetta fatta a singhiozzi.
Livello Erectus – qui arrivano coloro che comprendono a pieno che esistono delle variabili nell’allenamento: volume, frequenza, numero di sedute settimanali, intensità (tutte cose che svilupperemo più avanti), e che sono interconnesse. Non c’è ancora una vera “coscienza” delle implicazioni. Di solito questa è la fase dell’”illuminazione”: coloro che hanno avuto delle aspettative deluse nel livello precedente, trovano in qualche teoria dell’allenamento la spiegazione del perché dei loro fallimenti e del come evitarli in futuro. In questa fase si conoscono moltissime cose, ma non tutte. E’ un passo evolutivo delicato, perché può fermarsi qui.

Questo livello è proprio di coloro che si allenano con regolarità e costanza, degli abitatori degli scantinati, di quelli che scrivono il diario di allenamento. Ci sono tutti quelli che hanno ottenuto risultati, dal “buon risultato” all’”eccezionale risultato”.
Sono le persone più stimolanti, perché hanno un bagaglio di esperienze e di idee che è interessantissimo da studiare. Sono anche persone difficili da convincere a cambiare, proprio perché hanno ottenuto risultati oggettivamente buoni. Quello che manca loro è una sistematicità delle conoscenze che permette una visione globale dell’allenamento.

La accommodation law è anche qui la spiegazione primaria dei loro successi e anche dei loro insuccessi. Queste persone infatti hanno nel tempo sottoposto il loro organismo a stimoli crescenti, costantemente. Questo ha provocato un adattamento da cui un miglioramento. Sono persone che hanno portato al limite certe tecniche di allenamento, le hanno spremute fino in fondo come pochi altri, e l’adattamento c’è stato. Ma proprio perché c’è stato, è terminato.
Persone di questo tipo hanno sviluppato una notevole capacità istintiva di variare, di darsi nuovi obbiettivi, pertanto quando arrivano allo stallo da una parte, virano verso altre imprese, innescando nuovamente il processo di adattamento verso nuovi miglioramenti. La mancanza di una piena comprensione delle regole del gioco fa sì che questo tipo di comportamento sia efficace in termini di risultato, ma non efficiente in termini di utilizzo delle proprie risorse. In pratica, potrebbero ottenere di più.

Io ad esempio ho fatto errori madornali per anni, ma la costanza ha fatto sì che i risultati arrivassero comunque. Tanto per dire, un anno portai le mie trazioni con sovraccarico a 65Kg. Terminai il ciclo pieno di allucinanti dolori alle spalle, con il cervello fritto e il disgusto per le trazioni. Perché facevo sempre e solo panca e trazioni. Squilibri muscolari devastanti e stress. Ben tre anni dopo con un ciclo migliore riuscii ad arrivare a 70Kg in 3 mesi. Terminai con una doppia epicondilite allucinante e il solito disgusto per l’esercizio. Per arrivare a 75Kg mi sono fatto più furbo eh…
Il problema delle persone che stazionano a questo livello è che è difficile che accettino consigli. Del resto, il Paolo dei 65Kg di trazioni non è che avrebbe accettato idee innovative da una sega da 20Kg di sovraccarico… chi si identifica in questa situazione alzi la mano!

Molte volte sentono discorsi del tipo: “conosco Tizio che a 50 anni fa 150Kg di panca, si allena sempre allo stesso modo e fa cose semplicissime”. Magari è il Tizio stesso che dice che si è sempre allenato in quel modo. Regolarmente, chi tenta di copiare questa gente fa un buco nell’acqua clamoroso. Questo perché come al solito si guarda il risultato in termini di valore assoluto. I casi infatti sono due:
1) si tratta di persone molto forti (conosciute alcune personalmente) con risultati eclatanti. SI allenano però malissimo e non migliorano praticamente mai, ma di certo nessuno andrà a dire a uno che fa 150Kg di panca che sta sbagliando… un mio amico a 55 anni mi ha fatto di panca un 4×130Kg - 3×140Kg – 2×150Kg con i piedi sullo schienale. Ho la clip da qualche parte. A 18 anni aveva 175Kg. Si allenava così: andava in palestra e faceva 175Kg, tutte le volte.
2) Si tratta di persone che sembra che facciano sempre le stesse cose, ma allenandosi da una vita sanno benissimo come il loro corpo risponde agli stimoli. Sanno quando tirare una ripetizione alla morte e quando è bene smettere perché sarebbe la ripetizione di troppo. Sanno quando è meglio fare stacco invece di squat e quando incrementare o decrementare il volume. Sono persone che, come dice un mio amico di forum, hanno una capacità cosciente o non cosciente di attuare cambiamenti. Il loro allenamento è istintivamente organizzato. Chi tenta di copiare si ritrova in un guazzabuglio di esercizi casuali.

Ancora, chi è tantissimi anni che si allena ha trovato quella che crede essere la propria strada. Dice infatti di “averle provate tutte” e che come sta facendo è il modo giusto. Mmmmm siamo sicuri? Ripensiamo alla oramai fritta e rifritta accommodation law: noi non siamo sempre uguali, dato che siamo in equilibrio dinamico con l’ambiente. Stimoli inappropriati 10 anni fa potrebbero essere l’ideale adesso, o addirittura potrebbero essere sottoallenanti quando prima erano inadattabili.
Questo è il punto: “aver provato tutto” non significa nulla. Zero. Niente. Magari, ad esempio, si è provato senza conoscenza, senza comprendere il motivo per cui si eseguivano certe cose. Trovare in un certo momento la chiave di miglioramento significa infatti identificare un certo set di variabili (frequenza, volume, intensità) che è considerata ottimale, ma estendere questa a tutta la “carriera” dei pesi implica trascurare una variabile determinante, il tempo. Questo set di valori può non essere più ottimale nel tempo. Comprendere questo significa reinnescare nuovamente il miglioramento, non comprenderlo significa rimanere sui soliti livelli. Buoni, ottimi, ma null’altro.

Moltissimi a questo livello imputano una mancanza di progressi o a uno stress eccessivo, oppure a troppo poco allenamento. Nel primo caso, il ragionamento è: non miglioro perché sono sovrallenato, superallenato, stressato. E allora si è portati a ridurre il volume, l’intensità, le serie. Nel secondo caso si è portati a pensare che non ci si impegna, che o che sarebbero necessari volumi di allenamento impensabili. Entrambi questi comportamenti sono due lati della stessa medaglia: non capire che si sta agendo in maniera unidirezionale su poche (se non una) variabili di allenamento, stressando solo quelle. Se vi allenate sempre di meno, non c’è motivo per migliorare, se vi allenate sempre di meno come volume ma sempre tiratissimi, lo stimolo sarà inadattabile, come se vi allenate sempre di più. Accommodation law, pura e semplice.

Ci tengo a sottolineare questo: non stiamo parlando di “stanchezza”, se così fosse, basterebbe riposarsi in qualche forma. Ma a molte di queste persone capita di fare tutto a modino e di non ottenere nulla. Perché viaggiano sempre nella stessa direzione, verso il muro dell’adattamento finale. Attribuire ad altro la causa del mancato raggiungimento dei propri obbiettivi è l’errore più grave che queste persone possono fare.

Ribadisco che tutte queste considerazioni valgono sia per gli “atleti” che a maggior ragione per gli “allenatori”.


Livello Sapiens – c’è una presa di coscienza della complessità della Scienza dell’Allenamento ma anche un miglior controllo delle variabili dell’allenamento. In questa fase le conoscenze permettono di comprendere che c’è molto altro ma anche che quello che si sa è sufficiente per progettare una scheda di allenamento funzionale ed efficiente. Poiché io mi picco di essere uno che ha da dire a quelli del livello precedente, qui posso solo imparare.

Livello Sapiens Sapiens – E’ il pieno raggiungimento del potenziale umano nell’ambito di interesse, cioè la messa in pratica delle strategie ottimali per il pieno conseguimento dei risultati. Nessuno di “normale” riesce ad arrivare a questi livelli, a meno di non essere atleti professionisti dotati e con la possibilità di accesso al meglio del meglio. Sono persone da studiare come si studia la Formula Uno per adattare alle macchine di serie certe soluzioni sperimentali.

Ok, lo so che anche questa volta non ho scritto cose concrete. Però io penso che a problemi complessi anche la trattazione non può che essere complessa: risposte semplici a problemi complicati sono quasi sempre sbagliate perché semplicistiche.

Nell’ultima parte faremo un po’ di grafici carini, perciò sopportatemi ancora un po’.
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Fiiiuuuuu…. Siamo arrivati in fondo a questa trattazione. Mi sembra impossibile aver scritto così tanto. Qui si devono tirare un po’ le fila, arrivare a qualche conclusione, a scoprire l’assassino come ha detto un mio amico. E’ questo il momento in cui ci si sputtana abbastanza, perché si deve dire “fai così”, e se i grandi discorsi filosofici riescono a tutti perché in fondo indimostrabili come l’oroscopo, quando si scrive “fai 3×4 che è meglio di 3×8” si dichiara qualcosa che può essere provato. E contestato.

E allora, tuffiamoci. Dobbiamo dare delle indicazioni su come ingannare la accommodation law, su come portare gli stimoli a livelli sempre più alti. Mettevi comodi, sniffate della cocaina, perché non sarà una cosetta semplice. E, in fondo, dirò cose conosciute. Non crediate di trovare in questo scritto l’esercizio magico che vi fa diventare grossi e forti e magari più intelligenti… tutto quello che si poteva dire è stato detto eh…

Portare avanti il livello di stimolo passa da una presa di coscienza di se: il comandamento zero di queste tavole della legge è: vi siete posizionati con onestà nella “piramide evolutiva”? Prima lo fate, prima otterrete. Ci vuole una grande sicurezza di se nel darsi un giudizio, ma se lo fate correttamente, troverete anche quello che è più adatto a voi.

Collegato al punto precedente c’è il comandamento uno: dovete confrontarvi con gli altri, con quelli migliori di voi. Dovete ricercare letteralmente il confronto, e Internet adesso ve lo permette. Questo deve farlo specialmente chi si allena da solo: tantissimi hanno ottenuto risultati nel senso che hanno incrementato le proprie prestazioni. Bene, hanno ottenuto tanto, ma questo “tanto” è veramente “tanto”? C’è chi è passato da 40Kg di squat a 120Kg. Ottimo. Ma 120Kg è il massimo che potete fare? O vi appaga e vi siete adagiati?

Vi dico una cosa brutale: chi dopo 6-7 anni, su un peso corporeo di 80Kg e intorno ai 30 anni d’età, viaggia intorno ai 100, 110Kg di panca, non ha ottenuto un grande risultato. Mettetevelo in testa. Eppure magari siete i più forti della vostra palestra. Confrontatevi con quelli più forti cercando di capire perché sono più forti. Confrontatevi in maniera leale e positiva, senza trovare per forza delle giustificazioni. Che so… è un dopato, vive in palestra, è geneticamente dotato. Molte volte la risposta è semplicissima: il tizio in questione si allena meglio di voi. Punto.

Come ci vuole una grande forza per giudicarsi, ci vuole una grande forza per confrontarsi con gli altri. Ma il confronto paga alla lunga.

Una piccola noticina: quando scegliete un modello di riferimento per confrontarvi, dovete sceglierne di credibili. Perciò invito caldamente tutti ad evitare con cura il confronto con i bodybuilders professionisti. Spero di spiegarmi bene perché ci tengo a non venire frainteso: i pro sono dopati. Questo li rende un modello non credibile, perché il doping altera la fisiologia di queste persone. Quando parleremo di variabili di allenamento sarà più chiaro, ma mi sembra già qui evidente che se voi non vi bombate, non state utilizzando questa variabile che invece questa gente usa. Il confronto è impossibile.

Non voglio appunto essere frainteso: questo non è un giudizio etico, morale, religioso o di merito. Non voglio sentire discorsi del tipo “ah ma anche loro si fanno il culo, anzi, più degli altri”. Non c’entra nulla. Però vi state confrontando con persone che accedono ad altre risorse che voi non avete. Se vi dopate anche voi allora il confronto è possibile, altrimenti… no.

Sembra che ho detto una banalità, però è molto più sottile di quanto si pensi. Ho letto fiumi di discussioni sul perché e percome i pro si allenino con mezze ripetizioni, cheating assurdi etc. Molti più di quanto si pensino asseriscono che se i pro fanno così è giusto fare così. Anzi, che i pro si allenano a cazzo e perciò tutto è soggettivo, conta il collegamento mente-muscolo. Tutto a cazzo, ma dandoci dentro con lacrime e sangue.

Ma i pro si dopano. E lo fanno per un risultato estetico. Si bombano in qualunque altra specialità, però in un qualsiasi sport c’è da compiere un gesto atletico, e in soldoni vince chi lo fa meglio. Perciò il più bravo tecnicamente dei dopati vince. 1000 eccezioni, ma è così. Nel BB invece conta essere grosso, il beef (semplifico, va bene). Il doping amplifica l’effetto dell’intensità dell’allenamento, indipendentemente da come la raggiungo. Perciò mezza ripetizione con un peso spropositato garantisce comunque un effetto.

Questo non vuole essere terrorismo anti-doping, personalmente non me ne fotte niente di quello che fate. Solo, prendete come riferimento un pro e allenatevi come lui da natural, e non otterrete niente. Anche io guardo estasiato i video di Ronnie che fa front squat con un fottio di dischi da 20 che tintinnano, o lo stacco con le rotelle da 50Kg… poi quando devo allenarmi uso come metro di paragone altre persone. In altre parole, leggo le storie di Hulk con piacere, ma non mi chiedo come posso io avere quei trapezi enormi, perché non mi va di subire un bombardamento Gamma come Bruce Banner.

Perciò veniamo al comandamento numero due: per giudicarvi, per confrontarvi, non dovete avere pregiudizi. Il termine va inteso proprio così: pre-giudizio, un giudizio antecedente (e che avete dato voi) alla conoscenza del fenomeno. Ma se giudicate un fenomeno prima di conoscerlo avrete la mente cristallizzata. E ricercherete una conferma di quanto pensate, mantenendo gli aspetti che vi interessano per la vostra tesi e scartando quelli che non vi interessano.

Il pregiudizio in se non è negativo, ma una modalità comportamentale che permette di decidere velocemente in situazioni di stress, perciò ci sono casi in cui è utile. Banalmente: se voi doveste affidare vostro figlio per 5 minuti al primo che passa per la strada, a chi lo consegnereste?
1) al tipo pieno di tatuaggi, piercing, capelli rasta, con il cane al seguito
2) al rumeno che lava i vetri al semaforo
3) a quel prete laggiù che legge la Bibbia
4) al tipo con la faccia simpatica ma che ha un pitbull bianco al guinzaglio senza museruola
5) a me, cioè al tale con gli occhiali e la faccia di culo ma che sembra un bravo ragazzo.

Decidete sui due piedi. Sceglierete a seconda del vostro background, dei modelli precablati nella vostra testa, cioè state pre-giudicando. Di certo non pensate “quello pieno di tatuaggi con il cane magari ha avuto un’infanzia difficile e sta esprimendo il suo disagio, fondamentalmente è una brava persona, a priori non posso dire che il suo aspetto è indice di cattivi comportamenti sociali, diamogli una possibilità”. E non direte “quel rumeno laggiù magari è un bosniaco costretto dalla guerra ad emigrare, è uno che ha fatto sacrifici e che cerca una possibilità”.

Invece, al volo, direte: “1 e 2 scartati, aria, troppo sudici, il prete magari è un pedofilo, quello con il cane sembra troppo deficiente per controllare una belva del genere, dài, quello con la faccia di culo va bene, al limite mio figlio si fa due palle ma sopravvive”. Il pregiudizio è un modo di decidere veloce, sulla base di modelli. Dove serve decidere velocemente, non potete che pre-giudicare. Ma i modelli di riferimento sono propri del vostro passato, della vostra gente, del vostro paese. E possono essere del tutto sbagliati”. Perché magari io sono un serial killer con 18 personalità.

Se il pregiudizio è utile in molti contesti, non lo è in palestra. Perché vi tarpate le ali da soli. Una cosa che mi manda letteralmente in bestia è quando parlo di allenarsi a basse ripetizioni per mantenere una tecnica buona e regolarmente sento (e leggo) discorsi del tipo “ah ma tu sei un PL, questa roba è roba da PL, le basse ripetizioni sono per la forza e non per la massa”. Ecco: pregiudizi dei più stupidi. Perché chi ragiona così, non ascolta. Magari io sto dicendo “devi fare 8×1 perché se fai così ecco il cellulare di quella tipa bionda strafichissima ninfomane che ti sta guardando”. Ma tanto, non ascoltate.

Il pregiudizio vi porta a giudicare tutto il resto con il vostro metro, sulla base dei vostri risultati. Trovo ad esempio di una stupidità assurda discussioni dove si fronteggiano quelli che parteggiano per un metodo di allenamento piuttosto che per un altro. Tipico in tutte le varianti è Mentzer Vs Arnold. Dopo 25 e passa anni, siamo ancora a discutere se 1 serie è meglio di 3. Dio che spreco di neuroni… lo sapete che ogni ora muoiono circa 500 neuroni nella vostra testa e questi non vengono sostituiti? Pensate ai miliardi di neuroni morti durante le discussioni su queste cazzate: un crimine contro l’Umanità.

Il problema è che prese di posizioni dratiche riducono i margini di miglioramento, perché, a fronte di nuove conoscenze, si cercherà di inquadrare il nuovo all’interno della vecchia teoria. Magari funziona, magari no. Se non funziona, ci si perde dei pezzi importanti. Se pensiamo che quello che stiamo facendo è il meglio possibile perché, sulla base della nostra esperienza, funziona, allora rimarremo dove siamo.

Bene, abbiamo stabilito che noi non avremo pregiudizi d’ora in poi. Facciamo come nei gruppi d’ascolto e ripetiamo in coro: “i pesci sono amici e non cibo”. No… ho sbagliato gruppo. Ripetiamo: “noi non abbiamo pregiudizi”. Ok. Vediamo se è vero.

Un aspetto sorprendente quando si parla di BB è che c’è un filone di pensiero che asserisce che il BB sia altro dal resto dell’Universo. “Eh si, ma noi siamo BB…”. Come se la fisiologia del BBer fosse differente da quella delle altre persone. C’è un alone di misticismo, di aleatorietà religiosa che permea il BB. La fra setta “dovete provare tutto per vedere cosa funziona per voi” è un’altra perla. Il BB è cioè ascientifico, rifiuta una modellazione, un inquadramento anche il più elementare all’interno di canoni con una parvenza di razionalità. E’ tutto empirico, romantico, tutto un “provare”. E nel provare non si fa altro che riscoprire la ruota, il fuoco, il bronzo… Ma tanto noi siamo BB…

Dall’altra parte, c’è lo Scientismo assoluto, il trovare un causa-effetto a tutte le azioni in palestra, che so… c’è chi vorrebbe pianificare anche quando andare a pisciare durante la seduta e sulla base del pH urinario decidere se è meglio fare panca stretta o croci su declinata.

Chi ha ragione? Nessuno dei due, perché sono entrambi estremi. Perciò: comandamento numero tre: l’istintività non esiste, è una balla.

Ah! Siete saltati sulla sedia, vero? Vi ho un po’ scosso dal torpore? Vediamo se non avete pregiudizi e continuate a leggere con mente aperta. Posso anche non aver ragione, come posso aver barato e fra 3000 pagine dirvi che avevo scherzato.

Intanto, prima di dire che non esiste, andrebbe definita, non con una definizione psicoanalitica, ma contestualizzata alla palestra: nella normalità dei pesi, per “istintività” si definisce la capacità di scegliere la strategia di allenamento migliore per progredire, “sentendo” quello che il nostro corpo ci dice sul suo stato e scegliendo di conseguenza. Si attribuisce a questa caratteristica il successo di “quelli veramente grossi”. Mi sono scordato dei pezzi? Mi sembra di no.

Perciò, esiste o no questa “istintività”? Come mai noi sappiamo discernere fra “quello che funziona e quello che non funziona”? Vi prego di riflettere su questa affermazione: la vostra istintività dipende dalla vostra conoscenza.

Un esempio: conoscere la legge di Hanneman o principio della grandezza vi permette di comprendere che le fibre muscolari producono forza a partire da quelle lente per arrivare alle veloci sulla base del carico a cui le sottoponete. Più carico mettete, più fibre stimolate. Se voi volete attivare tutte le fibre dovrete utilizzare carichi massimali o submassimali. Chi ha una conoscenza del fatto che per diventare più grosso deve diventare più forte avrà un “istinto” che lo porterà a caricare progressivamente di più. Chi non ha questa conoscenza, non lo farà. “Sentirà” diversamente.

Chi ha scolpito nella mente il “no pain no gain” ricercherà sempre la fatica estrema e “sentirà” che sta facendo bene o male, ma in realtà starà ardendo come un cerino e basta.

Chi è fissato con la supercompensazione “sentirà” che deve scaricare, si sentirà stanco. E invece si sta deallenando. Ma lui “sente” che è così.

C’è un criterio che stabilisce nella perdita di velocità esecutiva il momento di smettere l’esercizio. Chi fa proprio questo criterio riesce a “sentire” quando smettere perché “sente che è lento”, anche senza bisogno di un accelerometro.

Il “sentire” i segnali del proprio corpo è mediato dalla nostra conoscenza, teorica e pratica. Perché i segnali sensoriali sono mediati dal nostro cervello, non dal nostro midollo spinale e basta. Siamo esseri coscienti e diamo un giudizio su quello che sentiamo. E il giudizio dipende da quello che conosciamo.

Per questo una miglior conoscenza migliora anche quella che noi chiamiamo “istintività”. Spero di avervi un po’ scosso. Per finire l’argomento istintività devo affrontare anche l’altro lato di questa medaglia: la pretesa di un Bodybuilding scientifico.

Comandamento numero quattro: non esistono leggi semplici per farci da guida.

Per determinare queste leggi, dobbiamo dichiarare i parametri che queste leggi legano. Buttiamo giù un elenco, nulla di nuovo. Queste sono le variabili classiche per monitorare i carichi:
numero di sedute settimanali
durata delle sedute
numero di esercizi
numero di serie
numeri di ripetizioni per serie
numero di serie totali
numero di ripetizioni totali
recupero fra serie
recupero fra esercizi
cadenza ripetizioni
percentuale di carico rispetto all’1RM
intensità percepita
set di esercizi
Età
Anzianità di allenamento
Record personali

Ok, ma non ci dicono nulla di come sto io. Il “mi sento bene” o “sono uno zombie” è monitorabile con:
Temperatura
Pressione
Umidità
Pressione sanguigna
Livelli ormonali
Azotemia
Glicemia
Ematocrito
Ferritina/Ferro
Livelli di adrenalina, cortisolo, delle catecolamine, delle prostaglandine (ok, invento, di preciso non so mica cosa sono, ma fa scena…)

Mi sembra ovvio che il vostro stato di forma non sia un qualcosa di aleatorio, ma di definibile in maniera più precisa. Altre variabili quali l’umore o lo stato d’animo possono essere definite se non altro su una scala di riferimento con dei voti, che so… da 1 a 10.

Cosa emerge da questi elenchi? Che le variabili sono innumerevoli. Tante. Vogliamo poi legarle tutte insieme fra loro, per trovare delle regole, degli algoritmi che ci permettano di prendere delle decisioni.

Faccio un esempio. Uno. Perché già così sarà un bagno di sangue. Prendiamo la famosa “legge” che lega il numero di ripetizioni alle percentuali del massimale. Google… ecco.


La “legge”, dedotta attraverso una statistica, lega insieme il numero di ripetizioni con il carico utilizzato. Grafico e formula et voilà. Lasciate fare la formuletta che mi serve solo come esempio, non è reale ma l’ha calcolata Excel con un algoritmo corretto ma che viene applicato nella maniera sbagliata.

Se io riuscissi a trovare tutte leggi di questo tipo, sarei a posto. Ma… analizziamo meglio la formuletta.

E’ vera per tutti gli esercizi? No, per la panca funziona in un modo, per lo squat in un altro. Diciamo che avremo almeno 2 formule, per la parte superiore del corpo e per la parte inferiore. Ad esempio, le formule di Maurice e Rydin
E’ vera per tutti i livelli di prestazione? Cioè: io con 100Kg di panca farò 8 rip con 70Kg, ma chi ha 200Kg ne farà 8 con 140Kg? No, ne farà 6. Introdurrò un coefficiente che mi tiene conto di questo, A

E’ vera per tutte le età? Ok, altro coefficiente, B

E’ vera in tutte le condizioni climatiche? Dài, un po’ di complicazione in più, C

E così via, fino a che la formulina diventa un qualcosa del genere, con tutti i parametri che possiamo mettere.


Abbiamo una formula che tiene conto di tutto. Ma… funziona? Ok, se io a parità di tutto faccio 137Kg di panca per 2 ripetizioni con un massimale di 150, mi dirà quanti Kg devo caricare per farne 7. Ma se ho un picco di testosterone però il mio capo mi ha trattato come una pezza da piedi, potrò caricare di più o di meno del caso in cui non ho dormito, mi ha lasciato mia moglie ma ho vinto un superenalotto e mi sto allenando alle Bahamas? Io dico che mettendo tutti questi numerelli dentro otterremmo dei risultati quasi casuali.

Questo è un caso semplice, ma quanti basano quello che fanno su “studi scientifici” che prendono in esame 2 parametri e basta su un set di 50?

Non è possibile determinare un modello meccanico del nostro corpo che ci permetta di avere dei risultati. Ci volevano migliaia di righe per dire questo? Sì, perché sembra scontato, ma non lo è. Ed è facile cascare nelle ricette preconfezionate. Ripartite dall’inizio con la “legge” del testosterone e del cortisolo: c’è chi dice che non ci si può allenare per più di 75’ pena il deperimento della prestazione. Perché? E’ come dire che c’è una legge che lega la durata dell’allenamento con un ormone. E l’età, lo stress, l’anzianità di allenamento e tutto il resto?

E quelli che dicono “3 ripetizioni sono per la forza e 8 per la massa”? Un legame fra ripetizioni e crescita muscolare. Oppure quelli che aspettano il picco della supercompensazione, un legame fra tempo e performance. O ancora quelli dello squat re degli esercizi: un legame fra esercizio specifico e risposta globale dell’organismo.

Il problema non è che sia impossibile determinare un modello. E’ impossibile determinare un modello gestibile. Le variabili sono troppe, e questo porta all’impossibilità di prevedere i risultati con precisione. E’ un problema di complessità.

Chi è una vita che si allena riesce a dominare la complessità tramite l’esperienza. Come dire… le ha provate un po’ tutte. La somma di tutte le proprie conoscenze e di tutte le prove empiriche determina la capacità di controllare le variabili in gioco, perché il nostro amico ha esplorato il causa-effetto delle varie “leggi” che sicuramente esistono tramite la variazione, negli anni, delle variabili d’ingresso. Il nostro amico sa benissimo che 10 anni fa riusciva a fare 8 rip con l’80% e ragionava così per i suoi allenamenti, ora sa che con il nuovo 80% più elevato riesce a farne 6. Perciò riesce a dominare una parte delle variabili di questa legge.

La teoria permette di selezionare dei valori di partenza quanto meno accettabili, la pratica di anni ha permesso di comprendere, variando i parametri, come questi sono legati.

L’istintività, perciò, è la capacità di determinare a fronte di un’analisi più o meno accurata di tutti i fattori ambientali, quello che è meglio per me o per i miei allievi. Non c’è nulla di viscerale, di umorale, di mistico. E’ la capacità che avete voi di scegliere quello che è meglio sulla base delle vostre conoscenze teoriche e pratiche.

La semplice teoria non è però sufficiente, sebbene necessaria. Esempio: la teoria per sviluppare la forza dice che dovete utilizzare carichi massimali. L’esperienza vi porta a comprendere quale sia la strategia migliore per voi. C’è chi utilizzerà un 5×1, chi un carico ad onda, chi un massimale secco. E sempre l’esperienza vi porterà a determinare se il 5×1 sia meglio farlo 2 o 1 volta a settimana in quel dato momento della vostra vita. Voi “sentite” proprio quello che è meglio per voi!

Questa è l’istintività. Il resto è andare a caso, a sensazione, con la pancia e con le visceri. L’istintività è l’arte di sapersi allenare: teoria e pratica. Non esiste una istintività che agisce sulla base delle sensazioni corporee, questo è animalesco. Esiste invece una conoscenza così assimilata da diventare quasi subcosciente, che vi fa giudicare gli input sensoriali in maniera mediata.

Quanti si possono allenare così con risultati? E voi? Perciò il mio consiglio è di studiare ed informarsi. E di provare. Ma provare con criterio: un metodo dovete portarlo fino in fondo, nella sua formulazione originaria. Non dovete metterci del vostro. Perché state cambiando i parametri. Che funzioni o che non funzioni,

Cazzo quanto ho scritto… e non c’è nemmeno una figurina. Dài, ora ce la metto. So che molti stanno storcendo il naso, non li ho convinti (ed è giusto che sia così del resto, altrimenti parlerei a me stesso).

Per ora ho solo distrutto, senza costruire nulla. Nessuna idea su come fare se non “leggete, studiate, praticate”.

Comandamento numero cinque: definire quello che vogliamo. Se non definiamo questo in maniera comune, parliamo lingue diverse.

Il BB è la costruzione di un corpo “armonico” ed “esteticamente bello”. Ma queste tre paroline possiamo riscriverle così: noi vogliamo, essenzialmente, essere più forti, più grossi e più definiti di quanto eravamo X giorni fa. E’ plausibile e vi ci ritrovate: questo è quello che vogliamo.

Perciò vogliamo determinare delle strategie per incrementare i carichi, incrementare il tessuto muscolare e decrementare il nostro grasso corporeo. Noi associamo questa condizione oggettiva a quella soggettiva di “essere più belli”. Nessuno di noi si sognerebbe di cambiare il colore degli occhi con un esercizio o di avere la faccia di Brad Pitt con uno schema di allenamento. Eppure è sempre “essere più belli”.

Noi vogliamo questo, essere forti, grossi e definiti. Visualizzate questo: se in palestra conoscete uno nuovo, cosa gli chiedete? Quanto fa di panca e quanto ha di bicipite. Giusto, sbagliato. Non è rilevante. Un parametro di forza, uno di estetica fisica, entrambi secondo i “nostri” valori. Non gli chiedete quanto ha di push press o quanto misura di quadricipite. Né quanto ha sui 100 metri. Tutti noi siamo ancorati all’idea di forte-perché-è-grosso e grosso-perché-è-forte. Non negatelo. Strong as you look. Mi fermo qui.

Certo, ognuno di noi ricercherà più o meno questi elementi, cioè la situazione può rappresentarsi in questo modo.
Non ci sarà mai una assenza di una componente, anche in quelli che vogliono smodatamente avere il massimo volume corporeo. Chi vorrebbe essere enorme ma ricoperto di grasso come un tricheco e forte come la sega che fa la panca con 50Kg. Dài…
Perciò “bello” equivale a “più coordinazione neuromuscolare, più miofibrille, adipociti meno carichi di molecole di grasso”. Abbiamo eliminato un bel pezzo di soggettività, no? Meno romanticismo.

Quello che differenzia le varie “correnti” è il “come” ottenere questo risultato. Qui i pensieri divergono. C’è chi dice che l’80% è genetica, oppure chi dice che l’80% è l’alimentazione. Queste, se permettete, sono giustificazioni che frenano i progressi. Tornate al capoverso precedente: quelle cose lì si ottengono tramite l’applicazione di stimoli per ottenere un adattamento. Mero adattamento nulla di più. La genetica è ad esempio lo zoccolo di partenza, poi CHIUNQUE può ottenere qualcosa.

Iniziamo a limitare l’ambito di questa trattazione. Se Dio vuole, possiamo considerare l’allenamento e l’alimentazione come correlati in maniera molto lasca. In nessun’altro “sport” è presente una cura certosina dell’alimentazione come nel culturismo. Mangiare pulito, integrare per recuperare gli allenamenti, non avere grasso in eccesso sono dei punti cardine di qualunque programma dietetico per gli sportivi. Ma dato che il proprio peso corporeo è un qualcosa da portarsi dietro, una volta che si rientra nel peso forma o nella propria categoria di peso ben difficilmente ci sarà una ricerca della massa magra. Negli sport dove gli atleti devono essere “pesanti” è ricercato spessissimo il peso corporeo, indipendentemente dalla massa.
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Se vogliamo essere grossi e definiti è necessario curare la nostra alimentazione. Banale, ma tanto per puntualizzare: il cibo è un aiuto ergogeno (cioè non creato dall’interno) necessario per creare l’ambiente adatto alla crescita muscolare. L’allenamento è lo stimolo che determina la crescita. Il risultato finale è la somma dei due. Mi raccomando: lasciate stare Lee Priest che fuori gara è un obeso con i trigliceridi alti e in gara è squartato e definito.
A me non interessa l’alimentazione, mi concentro sull’allenamento. Per quello che vedo, ritengo che anche nell’alimentazione valgano i vari “livelli” del videogioco della palestra. Nell’alimentazione la costanza (non la maniacalità) paga. Sono convinto che tanti viaggino in un regime ipocalorico costante. Ma questo è un altro film.
Comandamento numero sei: imparate a considerare le variabili dell’allenamento in maniera globale. Se le variabili sono tutte interconnesse, dobbiamo rappresentarle in qualche maniera. Diamo anche una rappresentazione della accommodation law.
Il diagramma sottostante è una rappresentazione delle principali variabili di carico.
In questo modo si ha una visione complessiva del vostro allenamento. In realtà dovete immaginare un diagramma con tantissimi “lati”, uno per ogni variabile.

Nel caso in esame, Tizio fa un numero esagerato di serie per pochissimi esercizi, ad intensità media, Caio invece esegue più esercizi, alla morte e per molte sedute. Notate come le spezzate diano proprio l’idea della diversità degli schemi. Diamogli un po’ di movimento
Questa è la situazione di un tizio che utilizza questo criterio di incremento del carico: eseguo un 3×6 e cerco di incrementare il carico un pochinino ad ogni seduta. Tutti i parametri sono fermi meno quello del carico. La fine del ciclo è decretata dall’accommodation law: l’incremento di carico diventa sempre più piccolo e poi cessa.

La rappresentazione su un piano (cioè una visione “globale”) fa capire che non stiamo esplorando tutte le combinazioni interessanti: ci muoviamo su una retta. Se scarichiamo e ricominciamo, siamo sempre sulla stessa retta, cioè in un mondo unidimensionale

Questa è la rappresentazione di un classico schema 5×4, 6×3, 8×2 con carico crescente e recuperi crescenti. Notate come le variazioni siano distribuite in maniera più uniforme. Chiaro che se poi eseguiamo SEMPRE questa roba, alla fine esploriamo comunque una sezione limitata del piano delle configurazioni.
Lo schema a sinistra è relativo a chi incrementa sempre più il volume delle serie di panca nelle tre settimane, quello a destra è relativo a chi esegue sempre lo stesso numero di serie al massimo ma cambia esercizio di settimana in settimana.
La mia idea con questi schemi è che vorrei comunicare la tridimensionalità (o meglio la n-dimensionalità) degli stimoli allenanti. Chi stressa un solo parametro rispetto a tutti i possibili si sta limitando. Sappiamo tutti che lo stimolo migliore è uno stimolo graduale e costante. Il problema è che si associa alla gradualità dello stimolo anche una unidirezionalità. Visualizzatelo sul piano delle configurazioni come una serie di curve che si deformano.

Il diagramma sopra riportato è un esempio di come si potrebbe passare da un BII monosemie con frequenza di un allenamento settimanale a un programma di altissimo volume con frequenza di 6 volte a settimana.

Mi raccomando, è UN ESEMPIO e non un invito a allenarvi anche mentre mangiate. Sappiate però che potete fare cose impossibili se ci arrivate nella giusta maniera.

Il principio Kaizen del “miglioramento continuo” è mantenuto: gli stimoli variano di poco di volta in volta, ma non variano in maniera monodimensionale. Variano su più assi di riferimento, ma di poco: ogni curva differisce di poco dalla precedente è localmente simile alla precedente, ma il risultato finale è globalmente diverso.

Per questo vi chiedo un po’ di elasticità mentale: l’esempio dei microcarichi è emblematico. Si associa il Kaizen ai microcarichi e questo è sbagliato, anche perché kaizen significa “miglioramento continuo nella vita privata, sociale e professionale” e dei microcarichi non c’è neanche l’ombra.

Imparare a ragionare in questo modo dà una visione più “aperta” di quello che vi accade.

E’ chiaro che questo modo di vedere le cose può spiazzare molti: schemi dove si scalano le ripetizioni e si incrementano le serie o peggio schemi rotativi dove sono gli esercizi a cambiare di volta in volta creano problemi a chi è abituato a stressare una variabile sola. Come consiglio per chi fa così, è importante distinguere il criterio di riferimento per giudicare i vostri progressi dal metodo che utilizzate per migliorare.

In altri termini: se per voi “essere forti” significa “incrementare il carico in un 3×6”, questo è il criterio. Se lo usate come metodo di allenamento, commettete un errore (a mio avviso, ovvio, ma non me lo fate ridire 1000 volte) perché andrete a sbattere nello stallo. Fate, che so… 3×6, 4×4, 5×3, 5×4 o cose simili, poi testate il nuovo 3×6.

Lo stimolo ottimale è perciò uno stimolo che si muove nell’intorno di una configurazione multidimensionale di parametri. Wow… figo, no? E vediamo di tirarli fuori questi cazzo di parametri, allora…

Prima di andare avanti devo fare un piccolo inciso. Mi spiace, ma qui per comprendere le cose dobbiamo tirare fuori un po’ di fisiologia con il discorsino sui tipi di fibre. Eh sì, vi tocca sorbirvi la solita sbobba, metto un po’ di disegnini così non vi annoiate.

Sappiamo tutti (vero?) che le fibre muscolari si dividono in:
  • Fibre lente o ST (slow twitch – impulso lento) o di tipo I o resistenti alla fatica o ossidative, capaci di sviluppare bassa forza per singola fibra ma per lungo tempo. Sono fibre che basano il loro funzionamento su meccanismi aerobici, cioè di produzione di energia in presenza di ossigeno senza creazione di prodotti di scarto. Sono poco ipertrofizzabili
  • Fibre veloci resistenti o FT (fast twitch – impulso veloce) o di tipo IIa o FOG o di tipo glicolitico ossidativi, capaci di sviluppare forza per fibra abbastanza elevata per un tempo relativamente lungo. Sono fibre che funzionano con reazioni in presenza di ossigeno o meno.
  • Fibre veloci o FT di tipo IIb o FG o di tipo gli colitico, capaci di sviluppare forza per fibra elevata per poco tempo. Funzionano senza apporto di ossigeno, sono le più ipertrofizzabili di tutte.
Le fibre IIa sono dette intermedie perché possono cambiare di tipologia in funzione dello stimolo allenante, e poi ci sono le fibre IIc, le IIx, però il concetto non cambia: ci sono tipi di fibre differenti. Ah… tutti questi nomi li ho scritti per farvi vedere quanto sono competente. Del resto è facile con Google…

So che non farete il salto logico di vedere tutto in ottica BB, perciò dovrebbe essere chiaro il perché siamo forniti di tipologie di fibre differenti: per adattarci meglio all’ambiente e rispondere prontamente ai vari stimoli. Saltare per non farci azzannare le chiappe da una tigre dai denti a sciabola, camminare per ore per trovare del cibo.

Da qui le fibre e da qui i meccanismi energetici che supportano la contrazione muscolare. Meccanismi di produzione “veloce” di forza sono poco efficienti perché producono come scarto il lattato. Del resto, se vogliamo produrre molta forza in poco tempo, la fretta si paga. Meccanismi più lenti sono più efficienti: le reazioni aerobiche sono un perfetto equilibrio in cui gli scarti vengono eliminati via via. Possiamo ad esempio stare in piedi per ore grazie ai muscoli posturali che mantengono le corrette contrazioni grazie a questi meccanismi.

Nel disegno sopra riportato vengono illustrati i tempi di produzione delle tipologie di fibre (non sto a dire che è un’esemplificazione) e la curva di produzione della forza. Al 100% di fibre contratte corrisponde la forza massimale. Il passaggio fra i vari tipi di fibra non è brusco, ma avviene in un continuum in maniera tale che siano bene o male uniformemente distribuite fibre che possono generare differenti valori di forza.

Le fibre muscolari sono caratterizzate da una “soglia di attivazione”, un valore minimo dell’impulso neurale necessario per innescare la contrazione. Sotto quel valore non si ha contrazione, sopra la fibra si contrae in tutta la sua interezza (è il principio del “tutto o nulla”). Fibre via via più “veloci” hanno soglia di attivazione sempre più alta. L’impulso neurale è in funzione del carico: più carico si deve spostare più il cervello risponde con impulsi più “elevati” che attivano sempre più fibre via via più “veloci” perché significa che dobbiamo produrre una maggior forza.: in funzione del carico da spostare verranno attivate sempre più fibre. Viceversa possiamo dire che vengono attivate tutte e solo le fibre necessarie a sollevare un dato carico, a partire da quelle che producono meno forza.

Come si vede nel disegno, per produrre quel livello di forza si attivano tutte e solo le fibre sotto la curva. Non vengono attivate fibre a soglia più alta, perché non ce ne è bisogno. Il perché di questo comportamento è come sempre, nell efficienza: l’organismo non sa a priori per quanto tempo deve produrre forza, perciò cerca di produrne il massimo possibile per più tempo possibile. Il peso da sollevare produce una tensione sui muscoli che viene registrata e partono gli impulsi per far contrarre tutte le fibre necessarie a contrastare quella tensione. Il valore dell’impulso cresce fino a che la somma della forza di tutte le fibre non è sufficiente: via via che fibre ad una data soglia di attivazione si contraggono, altre vengono attivate al crescere dell’impulso per generare forza. Nel momento in cui non c’è più bisogno di generare forza, le fibre oltre quella soglia di attivazione raggiunta non parteciperanno alla contrazione.

Nel caso di un carico minore si ha questa situazione:
Meno peso, meno fibre reclutate e tutte di tipo “lento”. L’esatto opposto è questo:
Più peso, più fibre reclutate, dalle lente alle veloci.

Si capisce perciò che 3×6 o 2×20 non sono la stessa cosa, come non lo è una 1×8 tiratissima alla morte: ci sarà sempre e comunque una parte della curva che non sarà toccata.

La massima contrazione si ha quando eseguo un massimale. Per definizione, non si può generare altra forza (ok, c’è un residuo di forza che non viene mai utilizzato ma è un altro discorso). Il problema è che una contrazione massimale non esaurisce tutte le fibre, perché quelle a soglia di attivazione poco più bassa di quella massimale possono contrarsi per più tempo, perciò appena le fibre a massima soglia di attivazione sono esaurite e non si contraggono più, la produzione di forza è minore e io non posso eseguire un’altra ripetizione con quel peso.

Sarebbe però possibile eseguirne una con un peso inferiore, perché tutte le altre fibre sono ancora contraibili. Il protocollo di esaurimento totale d’elezione delle fibre muscolari sarebbe pertanto un piramidale inverso in cui via via che si eseguono le ripetizioni si scala il peso all’incapacità di terminare il sollevamento.

In questo modo si avrebbe la sicurezza di esaurire tutte le fibre.



La figura mostra una contrazione massimale che evolve nel tempo: dopo un certo numero di secondi le fibre a soglia di attivazione più alta e tempo di generazione della forza più bassa sono esaurite, e la forza totale sviluppabile è inferiore. Più tempo passa, più fibre si esauriscono, meno forza riesco a produrre.

Spero che da questi disegni sia chiaro che l’arte dell’allenamento è la scelta del giusto compromesso: se voglio eseguire molte ripetizioni, dovrò usare un carico inferiore alla situazione in cui voglio utilizzare molto carico ma sarò costretto a farlo per meno ripetizioni.

E’ interessante notare come carichi bassi non stimolino correttamente l’intero spettro di fibre, ma questo sarà un punto di attenzione che esamineremo fra un po’.

Il modo ideale di allenarsi dovrebbe perciò essere un protocollo che esaurisce tutte le fibre, nel senso che le fa contrarre tutte e per il massimo tempo possibile, dato che le variabili in gioco sono due: la forza di contrazione e il tempo di contrazione di ogni fibra. Uno stimolo allenante deve stressare entrambe le variabili.

Estremizziamo, che è sempre utile per determinare i limiti entro cui muoversi. Il metodo di allenamento che permette tutto ciò è il seguente:
  • Caricare sul bilanciere un peso massimale, fare una ripetizione. Per definizione, non posso farne altre. Ho esaurito del tutte le fibre a soglia di attivazione più alta
  • Scaricare il peso di x% e continuare per altre ripetizioni, esaurisco le fibre a soglia di attivazione un po’ meno alta
  • ripetere il punto 2 fino a che non arrivo ad un carico tale da continuare in maniera indefinita
Al termine di questo processo sono arrivato alle fibre aerobiche. Poiché durante l’esecuzione si produce lattato e questo frena la contrazione, per essere sicuro di aver veramente esaurito tutte le fibre aspetto circa 2 ore e ripeto il procedimento.

Si capisce che sia assolutamente improponibile allenarsi in questo modo, follia pura. Ma, che so… vedetelo come il Ciclo di Carnot delle macchine termiche. La macchina termica di Carnot è quella ad efficienza maggiore, peccato non possa esistere. Ma tutti i motori si confrontano con questa per vedere quanto sono vicini ad ottimizzare i consumi. Riuscite a vedere in questo protocollo una parvenza dei vostri allenamenti? Il 2×3 + 2×6 o un piramidale inverso 4-6-8 non lo richiamano?

Quelli che molte volte leggete sono dei metodi per ottenere un esaurimento muscolare. Metodi, cioè protocolli, elenchi di passi da seguire, ricette. Il punto è che derivano tutti da questa roba qui, che si chiama “legge di Hanneman” o “principio della grandezza”. Ma non è che l’ha inventata Hanneman… semplicemente, il corpo umano funziona così!

Comandamento numero sette: dovete allenare la forza massimale. Eh sì, non ci sono (beep), dovete farlo. Prima vi mettete in testa questo, prima diventerete grossi. Si si, lo so, siete BB, il carico è un mezzo non un fine, bla bla bla. C’è un teorema scientificamente dimostrato che si enuncia così: “colui che afferma che il carico è un mezzo e non un fine è più sega di me in tutti gli esercizi”. Guarda caso, nella mia vita quelli più grossi di me erano più forti di me e quelli più piccoli di me erano più seghe di me.

Ritorniamo ai meccanismi adattativi che il corpo attua: reclutamento, sincronizzazione, coordinazione inter e intramuscolare, ipertrofia e tutti gli altri. Se esponete il vostro corpo a carichi massimali e submassimali, migliorate tutti i meccanismi neurali, perciò le vostre alzate diventeranno più efficienti. Questi meccanismi sono allenabili. Chi non ha mai fatto attività sportive, all’inizio è una specie di zombie. Poi impara “a coordinarsi”. L’applicazione di uno stimolo di carico determina un adattamento che porta a migliorare i meccanismi di contrazione, a tutti i livelli.

Questo adattamento si esaurisce se voi non insistete a spingere il piede sull’acceleratore del carico. Un principiante può contrarre circa il 40% di tutte le fibre. E le contrae in maniera non sincronizzata. In più non avrà la giusta coordinazione intermuscolare per rilassare i muscoli antagonisti o contrarre i muscoli sinergici di un dato gruppo muscolare.

Via via che impara, diventa non solo forte a parità di massa muscolare, ma anche sottopone più fibre al carico e queste in qualche maniera reagiscono ipertrofizzando. Non pensiate però che questo valga per i principianti. L’abilità di portare i propri meccanismi neurali a livelli eccelsi necessita di tempo e di carico applicato. Quanti sottopongono il loro corpo a carichi massimali? Ci torniamo dopo.

Non solo, per quelli che desiderano diventare più forti in un 3×6 con un certo carico, migliorare il massimale in quell’esercizio è la strada più veloce per migliorare anche il 3×6. L’aumento del massimale implica un aumento di efficienza nell’eseguire il gesto che vi interessa: più massimale implica che a parità di ripetizioni (una) le vostre energie spostano più carico, oppure, che a parità di carico (quello del 3×6) le vostre energie spostano questo carico più volte. Pensateci quando per migliorare il 3×6 fate sempre e solo il 3×6.

Per tutti i disegnini fatti qualche sproloquio fa, risulta ovvio che se vogliamo colpire tutte le fibre, dobbiamo utilizzare grandi carichi. Massimali. Siete un po’ confusi, aspettate un altro po’ di sproloqui, poi tireremo le somme. Vi anticipo che siete confusi perché associate i massimali a schemi 2×2, 3×3, quelli “per la forza” superpallosissimi.

Infine, dovete allenare la forza massimale perché… fa parte del mondo della palestra. Non girateci intorno: a tutti noi piace essere forti, avere tanti dischi da 20Kg sul bilanciere. Anche quelli che criticano il PL guardano i video di PL, idem per il WL, idem per gli allenamenti dei pro. A me la pesca fa cacare, la reputo una cosa stupida (de gustibus…), di certo non vado su youtube a spulciare video dove gente mette in mostra le proprie trote pescate. Dato che a TUTTI VOI piace essere forti, allenatevi per essere forti. Semplice, lineare, cristallino direi.

Comandamento numero otto: l’ipertrofia dipende dal volume totale di lavoro che svolgete oltre che dal carico che usate. Anche questo dovrebbe essere chiaro dai disegnino precedenti. Per esaurire le fibre dovete arrivare al punto in cui una bella percentuale non riesce più a contrarsi.

Poiché come stimolo allenante utilizziamo la “ripetizione”, cioè l’esecuzione di un gesto ben identificato, segue che dovete sottoporre il vostro corpo a un certo numero di ripetizioni.

Per evitare l’effetto descritto precedentemente di paralisi da accumulo di prodotti di scarto con conseguente interruzione delle ripetizioni, organizzerete le ripetizioni in gruppi detti “serie” intervallati da un riposo “adeguato”. Non è questo il concetto di “volume di lavoro”? Perciò, ci vuole un certo volume di lavoro per ottenere un risultato ipertrofico

Il volume di lavoro è una variabile importante nell’allenamento. Una delle tante. Però per tanti è la Dea da venerare, per altri ancora il Male Assoluto. L’arte di scegliere il volume giusto per se o per i propri atleti, in un ben periodo dell’anno del percorso atletico è difficile.

Incredibilmente, il volume è anche la caratteristica a cui il corpo si abitua prima, se c’è la gradualità giusta. Considerate chi pratica con dedizione lo squat 1×20. C’è chi riesce a fare 1×20x140Kg partendo da 1×20x60Kg, con la gradualità dei microcarichi (in questo caso, sì…). Un volume di lavoro immenso e impensabile. Viceversa, ben difficilmente partendo da 1×20x60Kg si arriverà a 1×1x200Kg qualunque sia la gradualità.

Questo perché il corpo umano è progettato per adattarsi a sforzi di intensità medio alta ma non altissima, per tempi abbastanza lunghi ma non lunghissimi. Detta così sembra una baggianata, ma riflettete su questo: quando fate un trasloco di mobili pesanti che dura ore ed ore, magari giorni, alla fine lo terminate, no? Trasportare una vasca da bagno in due per 4 o 5 rampe di scale è un’impresa dell’ordine dei minuti. Non è che la lanciate di rampa in rampa, riposando per 10 minuti a volta, ma piano piano arrivate a destinazione.

Se non credete a me, non dovete nemmeno credere a tutto il filone di ricerca di attitudini in palestra tirate fuori dal comportamento dell’uomo del paleolitico: avete mai sentito tutti quei discorsi sul fatto che l’uomo delle caverne viveva in maniera impulsiva? Periodi di caccia intensi e poi riposo? Ma dài…

Riflettiamo anche sui famigerati cicli di specializzazione. Pensate che in un ciclo di specializzazione per i bicipiti voi crescete perché “attaccate il muscolo da tutte le angolazioni” o perché vi concentrate sul brachiale che premendo da sotto esalta il picco del bicipite. Seeee…. Attenti! Guardate là fuori! Madonna! Sta passando Harry Potter sull’ippogrifo!

Quando fate un ciclo di specializzazione, state aumentando il volume totale su quella parte muscolare. La varietà di esercizi vi serve per non farvi due superpalle, ma otterreste bene o male lo stesso effetto facendo un esercizio solo, diverso dal solito.

Vi prego di notare come il modello che ho proposto (e che ovviamente non è mio…) sia sufficientemente coerente per dare una spiegazione sequenziale delle cose: ad un perché segue una spiegazione che porta ad un altro perché che però ha una spiegazione. Uso il “sufficientemente” perché ci sono tantissimi aspetti che rendono la cosa ben più complessa. Ve ne cito alcuni per darvi un’idea, specialmente a quelli che pensano che sia tutto semplice, poi però si fanno le domande che si fanno tutti.

Intanto, abbiamo definito come unità di volume minimo di lavoro la singola ripetizione. Questo non è esatto: in una ripetizione di squat con pausa in basso noi effettuiamo una contrazione eccentrica nella discesa (i muscoli si contraggono mentre il movimento porterebbe ad estenderli), una contrazione isometrica nella pausa (il muscolo si contrae ma la sua lunghezza rimane invariata) e una contrazione concentrica nella risalita (il muscolo si contrae e si accorcia). 3 tipi di contrazione, 3 tipi di forza nella singola ripetizione. Quando non è più possibile eseguire il movimento (esaurimento concentrico) è sempre possibile mantenere il carico fermo e quando non è possibile tenerlo fermo (esaurimento isometrico), possiamo frenarlo nella sua discesa, farci riposizionare il bilanciere e frenare nuovamente la discesa, fino a che ciò non è più possibile (esaurimento eccentrico). Le fibre si esauriscono veramente solo nell’ultimo caso.

Questo fa nascere diverse forme di allenamento, tipo le isometrie o le ripetizioni negative o forzate. E quale è più produttivo? Si dovrebbero conoscere a pieno i meccanismi che scatenano l’ipertrofia (che sono, ribadisco, non del tutto noti). Quando le cose non sono propriamente chiare, io attuo un criterio di praticità: avete mai provato ad allenarvi con le isometriche o le negative? Roba pallosa e/o pericolosa, ansiogena, stressante. Perciò non perseguibile nel tempo. Abbiamo a disposizione tantissime altre variabili, questa roba non ci interessa adesso.

Comandamento numero nove: non siate schiavi del tirare tutto alla morte…. Oddio! Il cielo si è oscurato, lampi e fulmini squarciano le nuvole di pece, la terra trema e si apre, le cavallette stanno salendo dalla tromba delle scale, dall’acquedotto sgorga sangue umano. Ho pronunciato l’impronunciabile, l’eresia delle eresie, strali di sventura sopra di me!

Ora rileggete quello che ho scritto: non ho scritto che non dovete tirare alla morte, ma che non dovete esserne schiavi. Perché vi impedisce di capire. Incredibilmente, il tirare alla morte mette tutti d’accordo, sia quelli dell’1×8 e basta che quelli del 4×20.

Poi, chiaramente, riprendono a litigare. Quelli dell’1×8 troveranno studi che asseriscono che con una serie si ottiene più che con 3 serie, quelli del 4×20 troveranno degli studi che asseriscono che il livello di lattato nel sangue è superiore con 4 serie da 20 e l’acido lattico è uno stimolatore del GH che porta ad un maggior rilascio di testosterone (non so se l’ho inventata o l’ho sentita veramente…)

Una piccola noticina sugli “studi scientifici”: io leggo regolarmente gli studi che vengono segnalati. Non voglio nemmeno entrare nel merito della qualità, ma il punto è che questi studi utilizzano tantissime volte dei campioni di riferimento che pochissimo hanno a che fare con noi. Dire che la sintesi proteica è incrementata del 100% con una serie alla morte di leg extension su delle vecchie sedentarie non è poi di aiuto per uno come me… oppure studi che mettono a confronto studenti di college con incrementi di forza di 100Kg ma nella pressa a 45° partendo da una base di 50Kg, dài…

C’è il famosissimo studio per dimostrare che 3 serie sono meglio di 1 per l’ipertrofia (è una meta-analisi di altri studi, cioè un metodo per confrontare studi differenti) e c’è un altro famosissimo studio che confuta il metodo del primo studio… Dall’esterno sembrano cose assurde, ma chi è un minimo dentro l’ambiente universitario sa che innanzi tutto vale il detto “publish or perish”, pubblica o muori, perciò gli studi devono uscire per garantire posti di lavoro, e poi gli studi sono, appunto, studi. Ce ne vuole perché diventino vere e proprie teorie, cioè asserzioni vere in generale: uno studio prende in esame un ristretto numero di variabili di uno scenario generale.

In più, mi raccomando: se citate degli studi, leggeteli almeno. Se ripetete a pappagallo, verrete impallinati 2 nanosecondi dopo l’apertura della caccia al pollo.

Nel caso del “tirare alla morte” c’è da chiedersi perché sia necessario. Una risposta corretta è: perché le fibre non vanno solo stimolate ma anche esaurite. Questa è una bella frase perché è autoconclusiva, c’è tutto. Direi che è addirittura autocelebrativa, ci mancano gli applausi e siamo a posto.

Ma perché allora c’è chi tira un 3×6 e chi un 2×20? Sembra che sia irrilevante quello che si fa, basta massacrarsi e funziona tutto. E poi, come esaurire le fibre? Anche qui sembra che l’unico modo sia premere l’acceleratore e andare a palla. Una serie deve essere ti-ra-tis-si-ma e questo è sufficiente.

Vi dico subito, perché altrimenti non mi seguite, che “tirare alla morte”, cercare l’”esaurimento” è una condizione necessaria. Va meglio? Ok. E’ necessaria ma non è sufficiente. Non basta. E’ importante anche come ottenere l’esaurimento.

Il “tirare alla morte” è uno schema mentale fossilizzato nella nostra mente. Perché la palestra è un luogo di “fisicità” e al fisico associamo l’ardore, l’impegno, le pacche sulle spalle, il sudore. Associamo il guerriero che avanza impavido sul campo di battaglia mentre le lance e le frecce sibilano intorno a lui, trasformando questa immagine in quella dell’impegno nel raggiungere il nostro scopo. Dare tutto. Perciò il tirare alla morte è una strategia di facile comprensione. Tutti la capiscono, tutti la eseguono. E’ appagante: non so se sto facendo bene, ma se arrivo in fondo stremato, mi sono impegnato. Ciò non significa che sia ottimale, come sempre.

Cerchiamo di liquidare la storiella dello schema di ripetizioni. E’ vero che basta tirare a tutta indipendentemente da quello che si fa ed è tutto ok? La risposta è NO. Dalla trattazione precedente è vero che ci deve essere un certo volume di lavoro per esaurire le fibre, ma deve essere svolto con un carico che possa stimolare una massa muscolare adeguata, prendendo più tipologie di fibre possibile.

Se voi vi mettete a correre per 3 ore di fila arrivate in fondo con le gambe stremate, massacrati. E’ la stessa sensazione che si ha al termine di un allenamento brutale, bene o male. Ma non serve a niente per “la massa”: avete coinvolto solamente le fibre aerobiche. Associare la fatica al risultato è pericoloso.

In linea di massima, dovete utilizzare carichi dal 60% in su rispetto al vostro massimale. Ah… non siate fissati, questo vale per i grandi esercizi. Dire “il 60%” delle vostre alzate laterali o delle spinte in basso ai cavi è ridicolo. Fatele e basta.

E’ in questo senso che tutti sperimentano i migliori risultati con un numero medio di ripetizioni fatte per un certo numero di volte. I classici 3×6 o 3×8 alla morte riescono a coinvolgere un discreto numero di fibre rispetto al totale. Ecco perché sono i protocolli più utilizzati, perché alla fine funzionano. Non ha senso un 3×15 ad esaurimento perché il carico che posso usare è più basso del 3×6 e colpisce molte meno fibre.

Perciò, sappiate che se voi tirate abbestia una serie con carichi ridicoli, avete ottenuto una gran fatica ma risultati zero. Chiaro, “vi sentirete” pompati, più grossi, più qualcosa. Di solito chi fa così “si sente” più definito. Leggetevi la parabola del polmone di recupero sul mio blog, è nell’elenco degli articoli.

Il punto è: perché si pensa che per esaurire le fibre si debba fare OGNI serie tirata alla morte? Ogni santissima serie, fino al vomito. Voglio condividere con voi un ragionamento. Immaginiamo di fare una serie in rest-pause, il massimo orgasmico dell’allenamento no-pain-no-gain (o anche no-pain-no-brain-no-game-no-gain, come direbbe un mio amico).

Una serie 1×10 rest pause prevede che voi mettiate, che so… un carico che potete eseguire per 6 ripetizioni, poi appoggiate un attimo, 10-15” di recupero, poi un’altra ripetizione, e così via fino a 10. La volta successiva si sale di peso o a parità di carico si cerca di fare una ripetizione in più. Mortale!

Cosa succede in quel brevissimo recupero? I muscoli compressi hanno letteralmente schiacciato i vasi sanguigni, e poco sangue vi affluisce, la pausa riporta sangue e perciò ossigeno. C’è un minimo di resintesi dell’ATP (minimale eh), un minimo di ossidazione degli scarti metabolici perché respirate, un minimo di ricoordinazione neuromuscolare. Perciò il complesso delle fibre muscolari coinvolte ha un minimo di recupero, tale da permettervi di schiodare una ripetizione in più. Quando ciò non è più possibile, dovete scalare il peso perché alcune fibre non reggono più, o interrompere.

Complessivamente, riuscite ad eseguire più ripetizioni di quelle che normalmente potreste effettuare “di fila” con un dato carico. Avete esaurito quelle fibre, sperate in una risposta ipertrofica. Diciamo che avete fatto un bell’1×10 rest pause con 105Kg, con un massimale di 130Kg.

Dilatiamo un po’ i recuperi, e mettiamoli in ogni ripetizione. Facciamo un 1×10 con 30” di recupero fra ogni ripetizione. Però lo facciamo con 110Kg. Il maggior recupero ce lo permette. Eseguire una singola ripetizione riappoggiando, recuperando la concentrazione, è ben duro e non ha niente a che invidiare ad un rest-pause secco tout-court. Si suda da morire, si sbuffa, si sbava, ci si sente intasati. La differenza di sensazioni è che facendo così alla fine non si è del tutto devastati, ma si è letteralmente… storditi: il SNC è messo a dura prova. E il peso dopo 10 ripetizioni non sale più.

Se invece di 1×10 scriviamo 10×1 rec 30” non è la solita roba? No, così è uno schema per la forza. Sbagliato! In prigione senza passare dal Via, i 20Euro me li tengo io.

Pensate all’esecuzione del famoso 1×20 di squat, dove ci si ferma a riprendere fiato prima di ripartire: c’è chi dopo 10 ripetizioni esegue le rimanenti a gruppetti di 2. Immaginate di fare sempre gruppetti di 2 ripetizioni, intervallati di 30”, ma riappoggiando ogni volta. E’ un 1×20 che si scrive 10×2 rec 30”, ma non è quasi la stessa cosa? Provatelo, ci schianterete lo stesso. Però potrete farlo con dei Kg in più.

Così facendo, avete ottenuto una serie di risultati in più:
1) avete usato più peso, perciò avete coinvolto più fibre. Le avete esaurite tutte, perché non potete continuare
2) nel rest-pause classico la forma si degrada nelle ultime ripetizioni perché i muscoli più deboli si stancano. La serie prosegue in maniera disgustosa oppure vi dovete fermare. Nell’altro caso il recupero maggiore vi permette di far degradare molto meno la tecnica esecutiva
3) avete eseguito un vero “pause” nel senso che dovete veramente ripartire ad ogni ripetizione o gruppo di ripetizione, e questo è veramente intenso.

Non è che ORA dovete fare così, o che fino ad ora siete stati dei coglioni e solo io vi posso raccontare la verità. Però vorrei comunicarvi che il raggiungimento di un prefissato obbiettivo, in questo caso l’esaurimento muscolare, si può attuare in molti modi.

Come consiglio, provate un 10×1 rec 1’ di stacco da terra, con un peso con cui potete fare 5 ripetizioni. Nello stacco non c’è la paura di farsi male perché il bilanciere vi crolla addosso. Provate, vi posso assicurare che questo schema vi metterà a dura prova e il giorno dopo sarete piacevolmente rincriccati.

Non siate vittime dei preconcetti, e questo è veramente duro da estirpare. Il problema di schemi del genere è che ci si deve un minimo applicare, ci vuole un minimo di esperienza, si deve ragionare: funzionano se si mettono i carichi “giusti”, superiori a quelli di un 1×10, ma non troppo alti per non sviluppare volume. E’ un po’ (ma solo un po’) più complesso e si sa che le persone vogliono eseguire e basta. In questo senso, caricare un peso e fare le ripetizioni a tutta paletta è ben più semplice, riuscirebbe a farlo anche chi non ha i lobi frontali, che c’è da capire?

C’è chi odia gli schemi a fatica cumulativa, ma questi non sono altro che un modo di esaurire le fibre muscolari. Sono un modo per esaurire le fibre sviluppando volume di lavoro su un certo volume di fibre muscolari. Anche qui, i preconcetti portano a considerare come “fatica cumulativa” solo il GVT di Poliquin.

Considerate anche questo: nell’1×10 tiratissimo voi vi concentrate sul finire le ripetizioni, non sulla singola ripetizione. E’ umano, dài… Nel 10×1 vi concentrate sulle singole ripetizioni. Un piccolo cambiamento di mentalità non significa buttare tutto nel cesso, ma riuscire ad avere una visuale da più angolazioni, permettendo di affrontare i problemi della palestra in modi differenti.

Comandamento numero dieci: non è vero che gli schemi “per la forza” sono insopportabili. Questo è un altro mito come il precedente. Il problema è sempre l’estremizzazione. Vi prego di credere che non voglio essere colui-che-porta-la-Verità: per ANNI ho fatto io stesso questo errore.

“Fare forza” in palestra consiste di periodi relativamente brevi dove si eseguono schemi in 3×3, 2×2, recuperi immensi, lotta per mantenere la postazione della panca perché altri chiedono “hai fatto?” mentre voi dovete recuperare 5’. Sedute che durano tanto, si fa poco, non si ha la sensazione di aver lavorato. Poi le sedute massimali, veri eventi con stress e ansie, 3 ore per scaldarsi e poi la provona galattica: se va bene, fiuuuu andata, altrimenti depressioni suicide. Marò se ci ripenso…

Per questo alla fine si pensa che non sia possibile ottenere un risultato ipertrofico con le basse ripetizioni. Perché di solito sono utilizzate così: 2×2. Stop. Anche qui, bisogna uscire dagli schemi. Per sviluppare una grande forza si devono usare dei carichi elevati, perché solo questi ottimizzano tutti i processi adattativi ben noti (spero…), ma carichi elevati implicano usare fibre che si stancano velocemente. Perciò le ripetizioni saranno poche. Dovete perciò fare più serie per sviluppare un corretto volume di lavoro. Un effetto collaterale benefico è che distribuire il lavoro su più serie di poche ripetizioni vi porta a una miglior tecnica perché siete più freschi.

Però non dovete avere ansie, il grosso carico deve diventare “normale”, non un evento particolare ed accidentale della vostra permanenza in palestra. Imponetevi perciò che i recuperi siano relativamente brevi, massimo 2’. Utilizzate schemi come 5×2 rec 2’ o 5×1 rec 1’30” cioè lavori che durano poco, con grandi carichi e un recupero tale che non avete tempo di stressarvi. Il carico può essere costante oppure piramidale, non è rilevante.

Un semplice esempio di uno schemino “per la forza”:
1° settimana: 4×2 rec 2’: 10’ di lavoro
2° settimana: 2×2 + 2×2 rec 2’ con carico più alto nel primo 2×2, sempre 10’ di lavoro
3° settimana: 3×1 + 1×2 rec 2’ con carico ancora più alto nel primo 3×1, sempre 10’ di lavoro

Come vedete, lavori “veloci” che con il classico 3×3 rec 5’ non hanno niente a che vedere. Non è che per “fare forza” dovete per forza “fare i massimali”, ma cercare di coinvolgere quante più fibre possibili.

Questo mito va di pari passo con il precedente: è l’estremizzazione opposta. Faccio notare come tutti dicano che le fibre veloci siano le più ipertrofizzabili, poi nessuno si allena per coinvolgerle. Chiaramente con uno schema del genere fatto con regolarità è uno stimolo ipertrofico, perché sebbene il volume di lavoro sia minimo, vengono coinvolte, grazie al carico, fibre che si esauriscono velocemente.
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Comandamento numero undici: non confondete l’adattamento con la fatica. Mi vorrei focalizzare sul fatto che la maggior parte delle volte (badate bene, la maggior parte, non qualche volta) si confonde la fine dei risultati da adattamento con uno stato di affaticamento che necessita di un periodo di riposo o quant’altro. Questo errore lo fanno TUTTI, mi spiace. Sia quelli malati per il BII, sia quelli che hanno un bisogno compulsivo di stare in palestra.

Faccio un esempio: immaginate di andare in palestra 2 o 3 volte a settimana (cioè una frequenza “giusta”) ma di fare regolarmente, ogni volta, stacco da terra in 3×1 con la miglior progressione che potete ottenere. Prima ci sono i risultati, poi questi cessano e si fa un bel botto. “Bel botto” non è scientifico, ma… pensateci: fate il botto, sclerate. L’allenamento inizia a diventare pesante, ansiogeno, preferireste andare a fare la spesa con la vostra fidanzata/moglie piuttosto che fare quel cazzo di 3×1.

Quali sono le normali spiegazioni a tutto ciò?
“sei superallenato”
“devi scaricare”
“hai il SNC stressato”
“non ti impegni abbastanza”
“devi ridurre la frequenza”
“passa ad un ciclo di pompaggio”
“non ciclizzi”

Molte volte si legge di gente che fa lo scarico e poi torna più forte di prima (mmm… poi si scopre che hanno caricato, che so… 5Kg in più, non 500…), ma molte volte però c’è chi si riposa, torna in palestra e fa sempre cagare nel solito 3×1.

Ma se tornate in palestra e invece di fare lo stacco in 3×1 provate un bello stacco sui rialzi (vi mettete su due pizze da 20Kg) in 4×4 o quello che volete, delle belle serie pompate e piene, la sensazione di sfavamento (è tecnico eh… chi non è laureato non può capire) scompare come per magia. Perché non siete stanchi, superallenati, non avete bisogno di scaricare. State semplicemente picchiando contro il muro dell’adattamento.

Non comprendere questo fatto è uno degli errori più deleteri che potete commettere. Perché vi porta fuori strada. Certo, potete essere arrivati a fine ciclo E essere anche cotti. Ma i due effetti sono disgiunti comunque. Oppure potete essere superallenati. Ma, a parte i test più o meno scientifici, la cosa più sicura è… ascoltarsi: se il pensiero di un altro tipo di allenamento vi fa stare meglio, non siete affaticati. Se invece comunque la mettiate state odiando la palestra… allora sì, è bene darci un taglio per un po’ (ok ok, tutte le strategie di scarico le conosciamo, qui stiamo ragionando con la pancia).

Per decidere se ho “fame” oppure mi voglio ingozzare di patatine, mi visualizzo a mangiare del riso, del tonno. Se mi vengono i conati, non ho fame, ma ho voglia di tacos in salsa piccante. Viceversa, quando ho fame la scatoletta di salmone ha un retrogusto vellutato, mmmm buona!

Mi raccomando: non-confondete-stanchezza-con-adattamento. Per evitare errori affrontiamo meglio il discorso: esiste una fatica sistemica e una fatica specifica.
La fatica sistemica è complessiva dell’organismo nella sua interezza, e dipende dalla somma di tutti gli stress ambientali. Poiché noi andiamo in palestra, si tende ad identificare come unico “stressor” l’allenamento, perdendo tutto il resto. Come sempre, commettiamo il solito errore di considerare la palestra come un qualcosa di alieno al resto del mondo.


Sembra una ovvietà quando si scrive in chiaro ma non poi quando si discute: l’allenamento è uno degli stress a cui sottoponete il vostro organismo, e non è nemmeno uno dei più intensi. Quante ore dormite? Io dormo meno di 6 ore a notte. Vado a letto poco dopo mezzanotte e ho la sveglia alle 6. Il confronto con uno studente di 15 anni meno di me che non fa un (beep) dalla mattina alla sera non riguarda solo l’allenamento, ma anche tutto il resto.

Il superallenamento è una fatica sistemica che non si recupera. E’ una situazione debilitante. Ed è subdolo e grave. Però, perDio, non mi si venga a dire che se la panca stalla, siete superallenati nei pettorali. Il superallenamento è sistemico perché, per definizione, deriva da uno squilibrio fra stress e recupero. Ma stress totale.

Penso che nessuno metta in discussione che se fate 4 ore di macchina al giorno e il vostro capo vi stressa, la sera il vostro desiderio primario sarà abbrutirvi al televisore perché siete stanchi. Però poi, se andate in palestra e le trazioni non vanno, associate questo al programma di allenamento (un classico) e non a tutto il resto. Perché? Magari quello accanto a voi va alla grande, e allora la colpa è della vostra genetica. In realtà date dei giudizi sbagliati perché non considerate l’aspetto sistemico del problema.

Perciò, mi raccomando quando usate la parola “superallenamento”. La metto nell’elenco delle scuse per non capire, insieme a “limite genetico” e “doping”.

La fatica sistemica è quella che dovete evitare il più possibile, o meglio, dovete gestire. Essenzialmente dipende, a parità di tutto il resto, dal volume e dall’intensità di lavoro. I periodi di scarico servono a combatterla.

Come l’adattamento è specifico, la fatica è anche specifica. Questo aspetto va compreso e dominato nei vostri allenamenti. E’ qui che si fa casino fra adattamento e fatica.

la fatica è specifica. Possiamo vedere questa frasetta come una diretta conseguenza dell’accommodation law: come gli adattamenti sono specifici, la fatica è specifica. O meglio: esiste un affaticamento sistemico, ma esiste un affaticamento specifico. Questo non va confuso, appunto, con il raggiungimento dell’adattamento.

Banale: se oggi fate panca superpesante, domani potete fare squat senza problemi. Entrambi gli esercizi peseranno sulla fatica sistemica, però uno non esclude l’altro. Lo squat ha un peso maggiore, perciò se invertite avrete una sessione di panca che può essere più scadente, ma, badate bene, sempre a parità del resto. Se fate panca oggi, state in discoteca a bere tutta la notte, domani lo squat non sarà il massimo. Viceversa, se fate squat oggi, dormite in un convento al calar del sole, domani avrete una sessione di panca fenomenale.

Fatica sistemica, specifica e adattamento presentano dei punti di sovrapposizione che portano a fare casino. Il risultato sono persone che fanno lo scarico quando non dovrebbero o altri che picchiano duro quando è ora di smettere.

Lo scarico, il recupero, è analogamente sistemico e specifico. Potete scaricare del tutto MENO che in un esercizio, ad esempio. E anche qui non va confuso il recupero con la necessità di variare. Potete aver fatto un 3×1 al massimo ed essere a fine ciclo, poi passate ad un altro esercizio e riattaccare con un 3×1, poi ad un altro ancora, fino a che non dovete per forza riposarvi perché è l’ora…

Su questo aspetto ho una esperienza personale: quanti dicono che lo stacco è l’esercizio che stressa di più il SNC e dove fare massimali porta velocemente al superallenamento? Nel 2006 ho fatto un ciclo di 9 settimane di massimali di stacco tiratissimi. Tutti nell’ingresso di casa, alle 21, dopo il lavoro e le incombenze familiari. Feci così:

3 settimane di stacco sumo (che non è la mia alzata): fino a 240Kg
3 settimane di stacco sui rialzi: fino a 240Kg
3 settimane di stacco sumo sui rialzi: fino a 240Kg

Poi, ok, stop. Non ne potevo più. Però fu illuminante. Ogni esercizio era portato all’adattamento massimo, poi variato con qualcosa di similare ma diverso, e giù di nuovo si poteva incrementare. Evitavo l’adattamento. Mi allenavo anche per panca e squat. Il basso volume di stacco e la specificità della fatica mi permettevano di allenare il resto. Chiaramente alla fine la fatica sistemica si fa sentire e si deve scaricare.

Poiché in queste cose sono diventato più “skilled”, 8 mesi dopo una cosa del genere durò per gruppi di 2 settimane, probabilmente ora dovrei scendere a 1 su qualche esercizio, o utilizzare combinazioni differenti non prettamente massimali.

Come vedete, il discorso sulla “fatica” è ben complesso perché, come sempre, multifattoriale.

Comandamento numero dodici: non utilizzate la Teoria della Supercompensazione per spiegare tutto quello che accade. Questo è correlato al punto precedente. Devo dire che cerco di non essere mai polemico, ma con la Supercompensazione non ce la faccio. Perché il mio background scientifico mi rende irritabile quando vedo/sento/leggo di gente che applica con noncuranza concetti difficili. Regolarmente, non comprendendoli. Eh sì, mi sento polemico…

Breve excursus: la teoria della Supercompensazione è una spiegazione di come il corpo umano gestisce gli stress.

A fronte di uno stimolo (l’allenamento, in questo caso) l’organismo si dispone in uno stato di “fatica”, per poi “recuperare” la sua condizione iniziale e, anzi, migliorarla. Non compensa la fatica, la super-compensa. Dopo un po’ questo effetto cessa. Perciò l’allenamento ci fa migliorare. Questo meccanismo spiega anche l’abbronzatura, i calli, i livelli di deplezione del glicogeno epatico. E’ plausibile, no?

Se io riesco a alternare una sequenza di stimoli-recuperi appropriati, ottengo un miglioramento crescente, così:

Anche questo è plausibile, non trovate. Dovrebbe valere anche il contrario: se mi alleno senza aver recuperato, complessivamente non riesco mai ad esaltare il picco supercompensativo
Il problema di questa teoria (e qui, credetemi, non lo dico io anche se intuitivamente non mi tornava) è che è troppo semplice. Ora che ci siamo fatti due superpalle sulla multifattorialità, qui torniamo indietro: si considera lo “stimolo allenante” come monolitico, unico, con una unica possibilità, la curva descritta.

E la specificità e tutto il resto? Torniamo all’esempio della panca e dello squat: panca oggi, sono nella parte in discesa della curva. Domani faccio squat, dovrei non ottenere nulla. Invece lo faccio, e con soddisfazione. Oppure oggi faccio un massimale di panca e domani delle serie di panca in 3×6, e mi riescono. Eppure la teoria non lo prevederebbe!

Ancora, ci sono allenamenti che accelerano il recupero, cosa che non dovrebbe essere prevista. Comunque, il punto dolente di questa teoria è che non spiega come regolarsi con il timing degli allenamenti. Come faccio a capire quando sono nel picco e quando no? Non basta dire “sono stanco, mi alleno domani”. E se sto bene e non compiccio una sega? Sono prima del picco o dopo il picco?

Ok, possiamo migliorarla quanto volete. Possiamo introdurre molte curve anche una per esercizio, possiamo dire che è influenzata da tutti i fattori del mondo che non sono allenamento, possiamo fare quello che volete. Il punto non è questo. Il punto è che tantissimi usano questa teoria, pari pari come l’ho spiegata io. E spiegano praticamente TUTTO.

Cioè il tutto si semplifica in: mi alleno, recupero in poltrona, in sequenza. Sono stanco? Ok, non ho supercompensato. Ho fatto un ottimo allenamento? Bene, ho supercompensato. I problemi nascono, come sempre, quando le cose non funzionano, non quando vanno: “chi vince ha sempre ragione”, perciò…

Quando le cose non vanno, chi segue questa teoria alla fine si allena sempre di meno. Ottiene di meno, si convince di essere un hardgainer sfortunato. E’un meccanismo che non sopporto, scusate. Vi prego, ragionate come se questa teoria non esistesse. Cercate di spiegare il tutto come se non ci fosse. Quando le spiegazioni sono troppo semplici e lineari, diffidate.

Cito una frase di Carlo Buzzichelli che mi colpì profondamente: “ci sono molti sistemi energetici e tutti supercompensano contemporaneamente a velocità diverse”. Perciò, E’ molto probabile che se non ottenete nulla, non è che non avete supercompensato, ma probabilmente siete a fine ciclo e vi state anche allenando poco.
La mia esperienza su questa roba è che per un periodo di tempo feci delle full body ogni giorno ricercando espressamente i DOMS lancinanti (immaginate una specie di flagellazione, una delle cazzate giovanili, come ubriacarsi in discoteca o simili). Con stupore, dopo i primi giorni massacranti, alla fine i DOMS sparirono e i Kg sul bilanciere ripresero a crescere. Perché? Da allora ho studiato, e ho capito il perché… poi, potete credermi o meno…

Comandamento numero tredici: variate gli esercizi nel vostro programma. Questa è un po’ criptica, ma è interessante. Per la specificità di quello che fate, per evitare l’adattamento, una variazione potente di stimoli è l’alternanza degli esercizi. Questa è una variabile che viene poco sfruttata.

Un esempio chiarificatore: Se voi fate sempre un 4×4 di panca piana, arriverete ben presto allo stallo. Immaginatevi un 4×4 con carico e recuperi crescenti. State forzando una variabile, il carico, e la compensate con il recupero. Ok, non male, no? Otterrete. Smetterete quando il carico sarà così elevato che il recupero, qualunque sia, non potrà compensarlo. Quando eseguirete di nuovo, ci metterete meno sedute ad arrivare alla fine. E sarà tutto meno interessante.

Eseguitelo invece così: sceglietevi 3-4 inclinazioni della panca, da “molto dritta” a “piana”. Ogni volta eseguite un 4×4 alla morte con una data inclinazione, e la volta successiva mettete la panca all’inclinazione inferiore. La variabile in questo caso è l’esercizio, che passa da “difficile” a facile. Il carico deve adattarsi di volta in volta, ma è sempre massimale per quella configurazione. Più carico a parità di ripetizioni, più stimolo allenante. Con uno schienale e basta.

Considerate le trazioni. Avete a disposizione 3 tipi di presa (stretta, meno stretta, normale, larga a me non piace, altrimenti sono 4) e tre tipi di posizionamento delle mani, prone, supine e miste. Sono 9 o 12 varianti diverse.

Nella panca avete 3-4 tipi di distanza delle mani, nello stacco avete il sumo e il regolare e almeno 3 altezze dei rialzi, nello squat avete il front e il back squat.

Voglio ritornare sull’esempio della panca, per far vedere come con pochissimo si possono creare schemi interessanti. Ecco delle idee:

Nello stesso allenamento:

protocollo a fatica cumulativa. Recupero 1 minuto, scegliete un carico da 7 rip nella posizione più inclinata e usatelo per tutte le serie
1×4 di panca piana
1×4 di panca inclinazione 1
1×4 di panca inclinazione 2
1×4 di panca inclinazione 3
Ripetete per 3 volte

Dosando il carico costante potete eseguire più o meno volte.

Protocollo simil-onda. Recupero 2’ scegliete un carico da 6 rip (es 100Kg) nella posizione meno inclinata e fate:
1×4x100Kg di panca piana
1×3x105Kg di panca inclinazione 1
1×2x110Kg di panca inclinazione 2
1×1x115Kg di panca inclinazione 3
Ripetete, sommando 2.6Kg ad ogni serie. Questo è molto tosto, perché i Kg aumentano nelle posizioni più difficili, però le ripetizioni scalano. I Kg sono indicativi eh…

Protocollo ad esaurimento stile prima serie target

Scegliete un carico, che so… un 6RM nella posizione più inclinata ed eseguite, con recupero 2-3’ o quello che vi pare. Eseguite tutte le serie con lo stesso peso
1×6 di panca inclinazione 3 (6 ripetizioni o quello che viene)
1xMax di panca inclinazione 2
1xMax di panca inclinazione 1
1xMax di panca piana

La differenza fra un 4×6 in prima serie target e questo è che la variabile in più (inclinazione della panca) vi permette di effettuare più ripetizioni nelle serie successive alla prima. Invece di fare 6-6-5-3 dovreste riuscire ad arrivare a 4×6, cioè un volume di lavoro maggiore.

Le combinazioni proposte sono da farsi in un allenamento, ma niente vieta che ogni riga sia da considerarsi come una settimana, perciò le variazioni di inclinazione sono settimanali. Tutto sta a voi, a quello che volete fare, a come lo fate. Una variabile in più è una possibilità in più. Potete coglierla o meno. Non è che automaticamente porta a dei vantaggi. Come direbbe Sun Tsu, “le occasioni si moltiplicano se vengono colte”.

Le possibilità date dalla variazione degli esercizi sono notevoli, e dovreste farle vostre, senza ragionare in maniera unidirezionale. Non schizzate dalla parte opposta come tutti quelli che seguono l’ultima moda.

La filosofia che c’è dietro alle variazioni degli esercizi è che queste devono servire per potenziare il movimento che ci interessa. Se a noi interessa lo stacco, dovremo trovare esercizi che hanno attinenza con lo stacco, perciò stacco in varie altezze, impugnature o simili, ma, ad esempio, le iperestensioni non dovranno essere considerate. Se ci interessa la panca, una forma di esercizio su questo movimento è ok, il lento avanti, il military press, le parallele non devono far parte di questo tipo di variazioni

Mi raccomando, considerate che le variazioni devono essere graduali per funzionare bene, cioè ci si deve muovere in un intorno del piano delle configurazioni. Altrimenti è andare a caso. Se ci pensate, i giochino che ho proposto sono una versione più formalizzata del pensiero da palestra che dice “cambia esercizi quando sei in stallo”, ma in questo caso la variazione è così brusca di solito che l’adattamento deve nuovamente ripartire da capo. Non è che non funziona, ma non è ottimale.

Fare propria la tecnica di variazione degli esercizi passa attraverso una buona sperimentazione di combinazioni, ma se ci riuscite avete fra le mani un sistema potentissimo di miglioramento. Incredibilmente, è a costo zero. Perché non provare?

Comandamento numero quattordici: pianificate ma-non-troppo. Dovete imparare a pianificare. Ciò non significa riportare maniacalmente tutto su un diario e leggerlo dopo. Significa riuscire a darsi degli obbiettivi e centrarli.

“Darsi degli obbiettivi” non è a sua volta dire “fra 10 anni voglio”, ma delle scadenze a breve e medio termine. Identificate quello che volete, poi determinate i passi che volete intraprendere. Fateli e confrontate quello che è successo con quello che pensavate sarebbe successo. Analizzate i vostri errori e datevi un motivo per cui questi sono accaduti. Si chiama “analisi degli scostamenti”. Se capite dove sbagliate e perché, non rifarete questi errori.

Nella pratica: scrivete su un pezzo di carta igienica non sporca lo schema che volete seguire per arrivare ad un obbiettivo, in maniera completa. Poi eseguitelo senza essere rigidi: non dovete aspettare 20 settimane per capire che 2×40 fa cagare.

Questo modo di ragionare elimina una serie di errori ricorrenti. Un esempio su tutti: se voi utilizzate come strategia “faccio 3×6 e ogni volta aggiungo peso se posso”, cercate di scrivere precedentemente quanto peso pensate di utilizzare. Se non avete idea, state andando a caso. Se la previsione non è azzeccata, qualcosa non va. Analizzatela.

Non è che dovete pianificare così TUTTO: fatelo per 1, massimo 2 esercizi importanti a seduta. Il resto, fate come vi pare. Se già farete così, migliorerete a livelli devastanti, dato che non lo fa mai nessuno.

Una struttura di sessione che funziona è composta da una parte a basse rip, una parte a rip medie, una parte che è quella che vi pare a voi. La ripartizione dei tempi può essere diversa, alcune componenti possono azzerarsi anche per certi periodi, ma complessivamente in un mesociclo o in un macrociclo devono essere presenti tutte e tre le componenti.

La parte a basse rip è quella per la forza, quella a medie rip è quella più identificabile come ipertrofica, poi c’è il CCCP, dizione di VIERI di bbHomepage, cioè Che Cazzo Ci Pare. Una seduta deve evolvere in questo modo:
1) all’inizio la componente a maggior impegno neurale, che vi lascia stanchi e storditi e poco propensi a caricare Kg sul bilanciere. Va pianificata. Banalmente, l’intervallo di ripetizioni dovrebbe essere 1-4.
2) di seguito una parte a Kg inferiori con meno stress sul SNC. Va pianificata ma senza fissarsi. Utilizzate un intervallo di ripetizioni di 6-8
3) Il finale della seduta, composto proprio da tutti quegli esercizi che vi fanno rilassare, da esperimenti, da pompaggio, da quello che volete. Andate in palestra per svagarvi, non per stressarvi. Non sottovalutate questa parte.

Impostate per le prime due componenti una progressione, in un esercizio per seduta. Una progressione consiste nello stressare una variabile, solitamente il carico, modificandone anche altre.

Ad esempio, panca, per la forza:
1° settimana:5×2 rec 2’
2° settimana: 5×1 rec 1’30”
Si cambia esercizio, si passa a un altro ciclo di due settimane, per un totale di 6 settimane. Questo ciclo stressa il carico fino a valori submassimali, poi si cambia esercizio per evitare l’adattamento. Ad esempio partiamo da molta inclinazione e scendiamo.

Per l’ipetrofia:
1° settimana: piramidale inverso 2×6 + 1×8 + 1×8 carico costante nelle prime 2 serie
2° settimana: piramidale inverso 2×4 + 1×6 + 1×8 più carico (costante) nel 2×4, a scalare il resto
3° settimana: piramidale inverso 1×4 + 1×6 + 1×6 + 1×8 classico piramidale inverso
Si ripete il ciclo cambiando esercizio, ad esempio panca inclinata, panca stretta.

Il primo schema lo chiamiamo A, il secondo B. L’applicazione di questi schemi dà luogo ad un andamento del genere
Una regola importante è che voi dovete pianificare dei cicli di durata breve: in questo caso sono 6 settimane, ma 2+2+2 o 3+3. Questo è necessario perché potete in questo modo rendervi conto se progredite o meno. Insopportabili i cicli di 8, 10, 20 settimane. Nel frattempo posso ammalarmi, divorziare, impazzire ed essere rinchiuso, commettere un omicidio. E che faccio con il mio bel ciclo? Interessante il fatto che su Internet tante domande ricorrenti nei cicli lunghi sono del tipo “e se devo smettere nel mezzo?”. Fate cicli corti, potrete terminarli.

Alcune idee:

Se voi ragionate ad alzate (es. panca, squat, stacco), pianificate in ogni seduta un esercizio base per la componente neurale e un complementare per la parte ipertrofica. Esempio:
Lun: squat basse rip, pressa alte rip
Mer: panca basse rip, panca inclinata alte rip
Ven: stacco basse rip, stacco gambe tese alte rip
(mi raccomando, “basse” e “alte” hanno significato diverso nei vari esercizi)

Se ragionate ad area corporea (es. petto, spalle, braccia) eseguite per ogni area un esercizio con schema ipertrofico sempre, ma in ogni seduta inserite un esercizio per la forza per un gruppo muscolare. Esempio:
1° settimana: Lun: petto/spalle – panca basse rip, panca inclinata alte rip, lat machine alte rip, rematore alte rip
2° settimana: Lun: panca alte rip, panca inclinata alte rip, lat machine basse rip, rematore alte rip
Questo perché chi ragiona in questi termini arriva velocemente ad un volume di lavoro molto elevato e due schemi forza/ipertrofia per gruppo muscolare sono troppi

Se ragionate “a full body” eseguite a rotazione uno schema a basse rip in ogni seduta, all’inizio della seduta. Esempio:
Lun: panca basse rip, trazioni, squat, stacco
Mer: squat basse rip, trazioni, panca, stacco
Gio: stacco basse rip, trazioni, panca, squat
Sulle full body ci sarebbe molto da scrivere, però si può notare già da questo piccolissimo esempio come la rotazione degli esercizi fornisca uno schema variazionale notevole. Per inciso, una full body che lascia invariate le parti muscolari colpite ma cambia di volta in volta il tipo di esercizio è ben più produttiva di una full body eseguita come mera ripetizione di una scheda sempre uguale.

Nella parte CCCP inserite tutto quello che non pianificate o che non è pianificabile. Che so… gli esercizi con i manubri per le spalle, magari fatti in stripping, il pulley basso eseguito dopo il rematore pesante. Non è una parte inutile, ma fondamentale. Però cosa state a fare? A segnare i Kg dello stripping? Io solitamente scrivo “spalle con manubri”, “curl bicipiti”, “addominali”. E’ importante fare 3×10 o 3×8 di addominali? Dài… Mi concentro su 2, 3 elementi fondamentali, poi ho delle idee di cosa voglio fare, le faccio, fine. Non è che ci penso 2 mesi prima.

Ancora, c’è chi pianifica un’anno intero, chi vorrebbe seguire i modelli periodizzati stile periodo precompetitivo, competitivo etc etc. Gareggiate? Nel 99.9% dei casi la risposta è NO, perciò considerate una pianificazione a breve fatta decentemente, poi una a più lungo periodo non così definita: al termine di un ciclo, cercate di capire come state, quello di cui avete bisogno, quello che vi è piaciuto, quello che avete odiato. E variate un po’.

Alla fine quello che è più efficace è una alternanza di periodi dove si stressa di più la componente “forza” e altri dove si stressa di più la componente “ipertrofia”, in maniera quasi alternata. L’importante è che cerchiate di mantenere una certa continuità.


Dosate in pratica le varie componenti non solo all’interno dei singoli allenamenti, ma anche fra i vari mesocicli

Dopo un periodo più incentrato sulla forza sarete magari così sclerati che non vedete l’ora di andare in palestra a pompare su serie da 20. Fatelo. Nel tempo vi accorgerete che comincerete però ad oscillare fra periodi ben definiti. E’ lì che si vede l’esperienza e il conoscersi. Chi si allena da una vita con successo fa proprio questo. Ma per arrivare a questo punto si deve sperimentare.

A questo punto vi aspettereste la classica schedina con i compitini da fare. Non ve la darò. Perché è impossibile. Qualunque tipo di idea è, appunto, un’idea. Mettere insieme tutte queste cose porta a una scheda che è del tutto diversa da quelle che avete visto fino ad ora. O, almeno, se siete arrivati a leggere fino qui, significa che c’è interesse. Penso però che ognuno di noi debba apprendere delle cose e sforzarsi di metterle in pratica.

Molti non saranno convinti, molti detesteranno quello che ho scritto. Una parte vorrebbe provare, di questo sono sicuro. Ma magari sono spaventati da un cambiamento radicale. Questo è normale, le abitudini danno sicurezza. A voi come a me, non è che io sia un alieno, ma un essere umano come voi, con i vostri stessi dubbi.

Vedo, leggo, sento di persone che si allenano veramente dimmerda, però sono convinte di quello che fanno, sono contente dei risultati. Perché rompergli le palle? Perché dirgli “il tuo modo di allenarti è pessimo”? Anche se fosse vero, nessuno è disposto ad accettare consigli con delle premesse simili. Ma se questo è facile da comprendere, simile a questa situazione è una proposta di scheda del tutto differente dall’usuale: se io ti dico che questa è ok, ed è diversa dalla tua, significa che la tua è automaticamente ko. E questo non è che sia il massimo dell’approccio…

Io sono per un approccio graduale. Poco ma in maniera convinta ed assimilata. Da lì è facile aggiungere altro e poi altro. Cambiamenti localmente minimali che generano globalmente una enorme differenza.

La mia proposta è: introducete pochi elementi nel vostro allenamento, con entusiasmo e capacità di giudizio. Vi consiglio:

Uno schema 10×1 di stacco con 1’ di recupero. Scaldatevi, mettete un peso decente, fate una singola, iniziate a contarle. Poi salite di un po’. E fatene un’altra dopo 1’, poi salite ancora fino a che non lo sentite impegnativo-ma-non-mortale. Andate avanti, se ce la fate, finite il 10×1, altrimenti scaricate e continuate. Segnate tutto. La volta dopo cercate di incrementare un po’ i pesi, o più ripetizioni con un peso con cui avete fatto, che so… solo 2 singole, o più peso in assoluto. Fatelo per 3 allenamenti uno a settimana, cercate di capire cosa è successo.

Uno schema che testai a suo tempo per vedere cosa succedeva, la prima cosa che ho fatto: andate alla lat machine e fate 3 ripetizioni con un carico con cui ne fate 10. Recuperate 30” e andate avanti, fino a che non ne fate 2. Poi smettete. Fatelo per 3 allenamenti uno a settimana, cercando di aggiungere serie su serie (mi raccomando, non ripetizioni su ripetizioni)

Applicate questa roba ad altri esercizi, se volete, ma complessivamente solo a 1-2 a seduta. Sono schemi abbastanza veloci, ma non devono portarvi via tempo complessivo. Per il resto, fate come avete sempre fatto. Al termine, ne riparliamo.

La sperimentazione è proprio questo: provare in un ambiente dove le variabili sono controllate. Se voi snaturate tutto quello che state facendo, il merito del successo è dovuto alla bontà di quello che fate, o al semplice fatto che state cambiando? Al contrario, un insuccesso porta al disamoramento completo: non c’è niente di peggiore che riporre aspettative ed entusiasmo ed essere delusi. Si diventa proprio cattivi e si odia quello che si è fatto. Poiché io credo fermamente che quello che ho proposto funzioni, non voglio che voi rinunciate perché vi spingo a forza verso un cambiamento che non è appropriato. Se serve, apritevi un diario su uno dei forum presenti su Internet o, meglio, leggete quelli di altri: l’applicazione pratica dei concetti sopra esposti passa attraverso 1000 trucchi e trucchetti, tantissime finezze che non possono essere spiegate in una trattazione unica. Avvantaggiatevi dell’esperienza di altri e non usate Youtube solo per vedere le gare di fitness in bikini. Ok, fatelo, ma fatelo DOPO.

Un punto importante che a cui dedico le ultime righe: dovete imparare una corretta tecnica di esecuzione. Questo per 3 motivi:
1) banale: non vi dovete infortunare. Che senso ha farsi male per una cosa che piace fare… in più, chi è infortunato non può allenarsi. Niente allenamento, niente stimolo, regresso. Semplice e crudele
2) una tecnica corretta e funzionale al movimento è il modo migliore di massimizzare la vostra forza. Molte volte c’è gente che pensa di avere i tricipiti deboli ma in realtà esegue la panca mandandola verso il collo. Tutta di deltoidi…
3) Come c’è una estetica fisica, c’è anche una estetica esecutiva. Essere forti significa anche dimostrare di dominare il peso che si sta sollevando. E “dominio” significa “controllo”: una esecuzione senza sbavature, strattonamenti, asimmetrie, spinte, tremori è indice di controllo. Una velocità “giusta” (e tutti in testa abbiamo questa idea) è indice di controllo. Una tecnica corretta permette di avere questo controllo. Dovete essere belli quando eseguite le vostre alzate!

Per avere una buona tecnica dovete confrontarvi anche su questa. Riprendetevi e postate le clip. Il confronto all’inizio mette soggezione, ma è una opportunità che non ha pari. Io sono migliorato essenzialmente per questo.

Infine: io non sono lì con voi. Non vi vedo, non vi conosco. Non posso perciò garantirvi nulla. Non è un “disclaimer” o uno scarico di responsabilità. Non ci sono e basta. Come faccio a sapere se ho spiegato bene, se eseguite correttamente, se non è il caso di riposare oppure è bene pestare duro… Io posso suggerirvi le cose, poi siete voi che le mettete in pratica. Lo dico per il rispetto che ho per l’ascoltatore. Perciò, ragionate, non fidatevi e basta. Io in media ogni giorno dico 3 cose intelligenti e 14 cazzate. Una puntina di paranoia aiuta a sopravvivere, sotto i pesi e nella vita
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Predefinito 12-06-2007, 07:21 AM


Gli infermieri della Neuro che ogni giorno mi portano al parco per la mia oretta d’aria mi hanno fatto notare che nel folle trittico di articoli sono stato molto scarso di esempi, perciò al prossimo simposio su disturbi della personalità il direttore non ha sufficienti lucidi (anzi, slide o slides o slaid) da proiettare. Vediamo di accontentarlo, anche se è difficile scrivere con le mani dietro la schiena: questa maglia di contenzione è più dura della mia Fury F6 da panca…



La teoria è indispensabile per comprendere il "perchè" delle cose, perchè funzionano, perchè non funzionano in altra maniera. Allo stesso tempo, la pratica fornisce l’esperienza, la componente empirica della conoscenza. La teoria ci dice quali sono le configurazioni ottimali delle variabili in gioco, la pratica ci permette di selezionare, all’interno di questi intervalli estremamente vasti, quelli migliori per ognuno di noi. Nessuna teoria, infatti, potrà definire completamente tutte le individualità. Se anche fosse possibile, una teoria del genere sarebbe inutilizzabile perchè troppo complessa.



Una teoria ben fatta deve riuscire però a dare delle regole di applicazione pratica, per avere una guida in quello che facciamo. Nel caso della palestra, queste "regole" si materializzano in una "scheda" o in uno "schema". Butterò giù un po’ di schemi che a mio avviso funzionano, sulla base della teoria che ho esposto.

Questi schemi sono indipendenti fra se, non è che dovete farli tutti insieme! In più, dovete vederli come delle idee: non vi focalizzate sui particolari, ma cercate di capire la logica che c’è dietro. In questo modo, lo schema diventa "vostro" e potrete manipolarlo come volete.

Staley chiama queste cose "tools", strumenti: è come se voi aveste una scatola per gli attrezzi da cui tirate fuori l’aggeggio che vi serve per risolvere un problema. Un attrezzo è di per se neutro, è come lo usate che fa la differenza. Se usate il martello pneumatico per avvitare gli sportelli del mobile della cucina, non potete poi dire che il martello pneumatico non funziona…



Usare bene uno strumento comporta molta pratica. Non troverete in nessun manuale la coppia di serraggio dei bulloni del vostro power rack, ma a furia di avvitare dadi riuscirete a capire quanto avrete stretto "troppo" o "giusto". Analogamente, la pratica in uno schema di allenamento vi permette di capire quando il carico è "troppo" per fare un’altra ripetizione o è "giusto". Saprete se eseguire un 5×2 o se vi dovete fermare ad un 4×2.

La vostra esperienza, cioè, passa per l’utilizzo di molti schemi con coscienza di quello che si fa. Questo vi darà il feeling con quello che fate. Non speriate di ottenere questo risultato in un mese, in sei mesi… E’ un percorso decennale se non che dura tutta la vita. La teoria vi permette di scremare gli approcci sbagliati, la pratica di affinare quelli giusti, di spremere gli schemi giusti fino a stillare l’ultima goccia di miglioramento.



Questo approccio secondo me è il più performante: potete scegliere gli schemi che vi propongo io, o altri diametralmente opposti. Però dovete provarli per un po’, tirarli per un po’, portarli al limite. Dovete sperimentare. Anzi, dovete essere contenti di farlo, di sbagliare, di capire dove si sbaglia e perchè. Evitate come la peste l’approccio tipico di chi vuole trovare lo schema perfetto, la scheda perfetta. Anche se esistesse (e non esiste), durerebbe per il tempo necessario ad adattarsi.

Vi piace l’HST? Fatelo. Vi piace il BIIO? Fatelo. Vi piace l’EDT? Fatelo. Vi piace XYZcos(t)? Fatelo. Però, p(beep)a Eva, fateli per bene, dedicategli il tempo che ci vuole per avere dei frutti (o per capire che non funzionano per voi). Non fate un mese di questo, 1 nell’altro e così via. Io dico che uno schema va provato almeno 3 volte per capirci qualcosa, e più è complesso, più tempo ci vorrà.



Gli schemettini che propongo possono essere classificati come "intermedi-avanzati". Dovete avere confidenza con i carichi medio-alti e con i vostri massimali. Se non ce l’avete, inutile che li proviate. Avete altre soluzioni.

Facciamo degli esempi:



Se voi vi state allenando 1 volta a settimana, inutile che utilizziate un protocollo ad onda in doppia progressione bla bla bla. Passate a 2 volte a settimana. Questa variazione vi farà migliorare.

Se voi eseguite gli esercizi in maniera raccapricciante, fate ciò che state facendo ma imparate a farlo bene. Ad esempio: se il vostro squat è sopra il parallelo, allenatevi per andare sotto. Se fate i mezzi stacchi, imparate a fare lo stacco completo. Se fate la panca e vi fermate a 5cm dal petto, arrivate in fondo. Se letteralmente non state facendo esercizi reputati "basilari" a torto o a ragione, inseriteli. E così via. Inutile fare le cose scientifiche: queste variazioni sono sufficienti per migliorare.



Se siete quelli del 10-8-6-4 fatto per mesi e mesi, inutile che passiate ad un 10×1 con gli elastici. Passate ad un piramidale inverso 4-6-8 e godetevelo. Se siete quelli dello stripping, delle burns, del metodo 21, delle X-Reps Double Loading, guardatevi allo specchio e se vedete un secco finito, buttate via questa roba e passate ad un programma standard panca-squat-stacco. Migliorerete senza tanto puzzo di periodizzazione.

Insomma, c’è un tempo per tutto. Questi schemi presuppongono un minimo di confidenza con lavori a buffer, a fatica cumulativa. Se siete quelli del "tirare alla morte ogni serie", ci tirerete fuori ben poco. Per mantenere un minimo di filo logico con il mio pensiero, consiglio queste cose a chi ha fatto almeno una volta il famoso quanto famigerato "ciclo russo" e almeno due volte "la scheda definitiva". Vi prego di credere che non è pubblicità a cose che ho scritto io, ma perchè lì ci sono altre considerazioni che fanno parte di quello che io penso. Se voi avete fatto con un minimo di soddisfazione queste cose, avrete la capacità di gestire questi schemi.



Voglio enfatizzare l’attenzione sulla tecnica di esecuzione: questa si impara con la volontà di volerlo fare e perdendo molto tempo. Non c’è schema che tenga se eseguite male. E potete essere sicuri di eseguire bene se vi riprendete e vi riguardate (meglio: se vi fate rivedere da qualcuno che ci capisce o se questo tizio che ci capisce è lì con voi).



Nessuno schema perfetto potrà mai compensare una vostra carenza esecutiva. Perderete Kg su Kg, o, peggio, vi farete male. Chiaramente nessuno di voi dirà “me ne sbatto, ho una tecnica orribile ma voglio caricare abbestia”. Chi è così folle? Però quando sento “non scendo sotto il parallelo perché non ho flessibilità” o “mi fa male la schiena perché ho gli erettori spinali deboli”, bene, per la mia personalissima esperienza, vissuta su me stesso, posso dire che al 90% si tratta di una scarsa tecnica esecutiva.



Lo scopo di questi schemi è di fornire dei “tools” per evitare lo stallo: la mia idea, che chiaramente cerco di mettere in pratica su me stesso, è di tirare un ciclo, incrementare, migliorare, imparare qualcosa, poi prima di stallare di brutto cambiare. Questi schemi applicano gli aspetti variazionali descritti nei papiri precedenti.



Infine, un consiglio di carattere motivante-psicologico: questi schemi non hanno la pretesa di essere perfetti. Funzioneranno se voi sarete critici, attenti, ma anche se avrete veramente voglia di provarli e di mettervi in gioco. Se pensate che non possono funzionare, non provateli. Non è una gara fra me e voi a chi è più bravo a fare tabelline. Io non voglio convincere nessuno perché parto dal presupposto che tutti siano in grado di giudicare. Chi non lo è, di certo non posso convincerlo io. Se pensate che siano sbagliati, parliamone ma, appunto, non provateli. Se volete provarli, dovete avere entusiasmo e grinta per superare i 1000 piccoli e grandi problemi in cui tutti noi ci imbattiamo quando affrontiamo una nuova sfida.

10×1



Poichè faccio tanto puzzo con questo 10×1, una spiegazione più di dettaglio è doverosa… facciamo un esempio su 4 settimane:

1° settimana: 3×1 – 4×1 – 3×1 rec 1’

2° settimana: 3×1 – 3×1 – 2×1 rec 1’

3° settimana: 2×1 – 4×1 – 2×1 rec 1’30”

4° settimana: 2×1 – 3×1 – 1×1 rec 1’30”

sono gruppi di singole a carico costante.



Nel primo allenamento fate 10 singole. Dovete scegliere per i due gruppi 3×1 un carico con cui fate al massimo 6 ripetizioni di fila. Nel gruppo centrale 4×1 dovete incrementare il carico.

Negli allenamenti successivi il primo gruppo di singole è preparatorio, perciò il carico è sempre lo stesso in tutti gli allenamenti, mentre il gruppo centrale deve sempre salire.

Nel gruppo di singole finale, l’ideale è attestarsi su un carico intermedio fra i primi due gruppi.

Mi raccomando: come sempre, se, che so… la 3° settimana al 4×1 siete in forma, fate 6×1.

Questa roba funziona molto bene nello stacco, dove a mio avviso è "ganzissimo e toghissimo", perchè si usano grossi pesi ma non c’è lo stress del rimanere schiacciati. Il recupero permette di evitare problemi di presa che si apre, perché i flessori della mano hanno tempo di recuperare. Potete poi concentrarvi sull’esecuzione della singola ripetizione senza lo stress di finire la serie tirata alla morte.



Avete mai notato come la ripetizione più difficile di una serie sia sempre la prima? Certo, alla fine c’è la stanchezza, ma la prima ripetizione è quella che crea più… ansia. Questo perché nella prima ripetizione dovete prendere l’assetto (che so… staccare il bilanciere dagli appoggi o mettervelo davanti alla faccia), non avete la componente di riflesso miotatico (non c’è la parte eccentrica del movimento della ripetizione precedente), e il vostro SNC ha già “saggiato” il peso. Uno schema a singole ha perciò un grosso impatto sul vostro SNC, perché state eseguendo 10 “prime ripetizioni”. Per questo alla fine sarete oltre che stanchi anche storditi!

Va da se che uno schema del genere nello squat è molto stressante proprio perché dovete staccare e riappoggiare 10 volte il bilanciere. Se non ci credete, provate. Per lo squat consiglio uno schema differente, come sotto riportato. Un 10×1 funziona bene per la panca, il lento avanti, le trazioni zavorrate. Però, non fissiamoci con questo “10”… “10” è un numero. Capito come funziona uno schema a singole, un 8×1 è ok lo stesso. Aggiungo: capito come strutturare la progressione, è facile creare varianti su varianti. Che so…



1° settimana: 8×1

2° settimana: 9×1

3° settimana: 10×1

Un’altra variante è mantenere il carico costante e scalare il recupero di 5” a volta, in modo da dimezzarlo in 4 sedute. Ciò porta ad un simil rest-pause che nulla ha da invidiare alla tecnica base. Chiaramente dovete settare i carichi corretti altrimenti sbroccate al 2° allenamento. Non sto a dire che uno schema a tempo deve essere eseguito con precisione cronometrica, altrimenti non ha senso.



Se “10” è un numero qualunque, uno schema 5×2 non dovrebbe crearvi problemi dato che sono sempre 10 ripetizioni.

1° settimana: 2×2 – 1×2 – 2×2 rec 1’30”

2° settimana: 1×2 – 2×2 – 2×1 rec 1’30”

3° settimana: 1×2 – 3×2 – 1×2 rec 2’

4° settimana: 1×2 – 3×2 – 1×2 rec 2’

Chiaramente dovete cercare di incrementare il carico ogni volta, secondo la filosofia dei “gruppi di doppie”, come nel caso precedente dei “gruppi di singole”.



Uno schema in 5×2 può essere molto pesante: la candida 2° ripetizione apparentemente innocua può rivelarsi devastante. Infatti il recupero è più alto. Questo funziona bene ad esempio nello squat, dove la seconda ripetizione viene meglio della prima e c’è meno stress per dover staccare il bilanciere.

Notate che sia il 10×1 che il 5×2 non vi portano via molto tempo, ma sempre meno di 15’ di lavoro. L’idea è di fare un discreto volume di lavoro ma di qualità, cioè con carichi impegnativi fatti però senza lo stress tipico delle schede di forza con recuperi elevati che vi portano a spallarvi.



Schemi a singole a mio avviso non funzionano bene per muscoli “piccoli” o con i manubri. Fare il curl per i bicipiti in questo modo non è alla fine piacevole. Provate, vi accorgerete che uno schema in 5×2 è meglio. Perché? Perché questa è l’esperienza. Da qui in un processo induttivo si dovrebbe capire perché un 10×1 per i bicipiti non è ottimale, ma semplicemente, non ho voglia. Idem, con i manubri un 10×1 non è divertente (e qui la spiegazione è facile) perché i carichi salgono e alla fine la difficoltà più grossa è posizionarsi, perciò è meglio mettere un po’ di meno e fare più ripetizioni, senza perdere tempo per mettersi in assetto.

Avete a disposizione due “tools”, il 10×1 e il 5×2. Già così una variante è presto fatta:



1° settimana: 2×2 – 1×2 – 2×2 rec 1’30”

2° settimana: 1×2 – 2×2 – 2×1 rec 2’

3° settimana: 2×1 – 4×1 – 2×1 rec 1’30”

4° settimana: 2×1 – 3×1 – 1×1 rec 1’30”

L’importante è avere chiaro quello che cercate. Se siete un minimo pratici di cicli a %, se avete un’idea dei vostri carichi, riuscirete a settare i pesi correttamente per questi schemi. Poi, come sempre, gli aggiustamenti in corso d’opera sono fondamentali.



Gli elastici

Una variante da provare per quelli che adorano le soluzioni low tech stile Mac Gyver è lo stacco con gli elastici. Sono fissato con lo stacco perchè è l’unico esercizio in cui, ripeto, non ci si può cappottare con il bilanciere. L’elastico rende difficile il movimento da un certo punto in poi. E’ un modo di sovraccaricare una parte di movimento, come se faceste un movimento parziale ma facendo il movimento completo. Per l’economicità e semplicità di utilizzo ritengo gli elastici un’idea tanto semplice quanto efficace.



Lo stacco con gli elastici è un buon modo di imparare la tecnica dello stacco: l’elastico in chiusura richiede che voi siate nell’assetto corretto, altrimenti non riuscirete a gestire il sovraccarico. Provate, se siete interessati, e vedrete come l’alzata sia ben più difficile.

Dovete avere una trazione pari a circa il 10% del vostro massimale. A spanne, per chi ha sopra i 200Kg circa 20Kg, chi ha sotto, circa 15Kg. Uno schema interessante è:



1° settimana: 6×2 rec 1′ - carico 50% del massimale, elastici

2° settimana: 6×2 rec 1′30" - carico 55% del massimale, elastici

3° settimana: 10×1 rec 1′30" via gli elastici, caricare di più

In questo schema cerco di mantenere un volume leggermente più elevato nelle doppie per poi scalarlo nelle singole, in modo da avere un incremento di carico.



Chiaro che gli elastici si possono provare in altri esercizi, ma in questo caso si deve fortemente volerlo… nello stacco non dovrete perdere di certo tanto tempo.

Questo è un accenno all’uso degli elastici, chi volesse provare può contattarmi direttamente. Però… un pensierino fatelo. Perchè sono una variante interessante.



Un po’ di dritte: comprate un paio di elastici da portabagagli, io li trovo a 1 euro l’uno per quelli da 2 metri, perciò non dite che vi faccio spendere.

Avvolgete un elastico al bilanciere per circa 6 giri e chiudetelo, poi tiratelo in modo da avere un anello dove infilare un piede. Ripetete con l’altro elastico. Fate finta di essere ad una puntata di Art Attack, quello dove si usa la colla vinilica (mi fanno impazzire "la colla vinilica" e i pennarelli coperti per non far vedere la marca). Siete pronti per provare.



Per tarare gli elastici, fate passare i due anelli per i piedi sotto una bilancia, andateci sopra e tirate. Nella pratica, lo spessore maggiore vi dà un incremento di trazione di circa 5Kg. Regolatevi di conseguenza e non fissatevi se la trazione è 21.5Kg invece che 20Kg, basta che sia costante.



Piramidale inverso reloaded



Questa tecnica è una modifica a basse ripetizioni del classico piramidale inverso, anche se di fatto io mi allenavo così già 10 anni fa.

1° settimana: 2×4 + 2×6 + 1×8 rec 1’30”

2° settimana: 3×3 + 1×6 + 1×8 rec 2’

3° settimana: 4×2 + 1×4 + 1×6 rec 2’

4° settimana: 3×1 + 2×3 + 1×6 rec 2’



E’ una versione del piramidale inverso che a mio avviso può piacere a chi è più restio ad un drastico cambiamento dei propri schemi.

C’è infatti una parte a basse ripetizioni per allenare il SN ma si finisce con ripetizioni più alte. In ogni gruppo di serie i carichi sono costanti, ma di gruppo in gruppo i carichi si scalano. Ogni allenamento si devono mettere più Kg del precedente.

In pratica si tira ogni gruppo di serie alla morte, ma non ogni serie. Si finisce con sensazioni più vicine a quelle che normalmente si provano con allenamenti a cedimento, ma le complessive basse ripetizioni permettono di sviluppare più Kg sul bilanciere

Notate il volume complessivo di ripetizioni: 22, 23, 20, 16, cioè le ripetizioni diminuiscono in maniera “dolce”



Uno schema del genere può dare molte soddisfazioni perché si riesce a sollevare parecchio ma nel contempo si arriva ad un numero di ripetizioni per serie che ricade nel classico range ipertrofico. Anche in questo caso, comprese la logica è facile, che so, diminuire il numero di serie a basse rip per creare uno schema più corto o incrementare le ripetizioni o quant’altro

Consiglio caldamente uno schema del genere, per prendere confidenza con carichi elevati, a chi vuole mantenere continuità con il passato. Attualmente io uso schemi simili per i complementari dove cerco di utilizzare dei buoni carichi ma alla fine mi “sbraco” del tutto e pompo come un disperato (non sono molto tecnico ma… avete capito). Non c’è nessun motivo per cui uno schema piramidale inverso debba essere eseguito per forza in 4-6-8 se non la normale prassi del “si è sempre fatto così…”



Schemi ad onda

Per una trattazione completa delle onde di carico vi consiglio di leggervi su t-nation “the wave loading manifesto” di Ian King, un articolo molto ben fatto sia per quello che tecnicamente c’è scritto, sia per lo spirito con cui si dovrebbero affrontare le cose.



Sinteticamente, uno schema ad onde classico funziona così: 1×3 – 1×2 – 1×1 - 1×3 – 1×2 – 1×1

Ogni serie si incrementa il carico. La differenza fa la tripla e la singola è di circa il 10% del carico. Facciamo un esempio con due numeri: 1×3x100Kg – 1×2x105Kg – 1×1x110Kg

A questo punto si torna indietro, ma si riparte da dei Kg più elevati: 1×3x102.5Kg – 1×2x107Kg – 1×1x112.5Kg

Si sfrutta cioè la facilitazione neurale data dal fatto che tornando indietro il carico è comunque più basso dell’ultima singola e si “sente” più leggero. In più, in salita, ogni serie “attiva” la successiva nel senso che il SNC si adatta al carico e l’incremento risulta fattibile. Chiaro che all’incremento di carico ci deve essere uno scarico del volume, altrimenti la fatica vanifica il tutto.



Ci sono altre varianti, tipo quella definita più “ipertrofica” quale 7-5-3-7-5-3 oppure questa qui 1-6-1-6-1-6. Questi protocolli sono derivati dalla pesistica olimpica, e sono perciò tutti “a buffer”, cioè non ad esaurimento. Non sto ad entrare nel merito, ma se voi fate un esercizio complicato come lo strappo, il cedimento deve essere evitato altrimenti alla fine il peso non sale più, ma se non sale più, potete anche andare a casa.

I protocolli ad onda, personalmente, non mi piacciono (mi raccomando: non ho detto che fanno cagare, solo che a me non piacciono, tutto qui). Il volume è bassissimo e rapidamente si inizia a caricare molto. Sono un ottimo modo per entrare in forma, per avere un picco di prestazione, ma mi stressano troppo. Farle poi alla morte è pura follia, perché bruciate il ciclo al primo allenamento: state facendo delle singole massimali…



Una variante che però mi piace è questa qui, che a mio avviso funziona molto bene nello squat o in esercizi dove potete utilizzare molta massa muscolare: sceglietevi un carico che vi permetta 6-8 ripetizioni (oppure un carico del 75% del massimale) ed eseguite così, un minuto di recupero fra le serie:

1×3 con un carico inferiore (quanto inferiore? Quanto basta, l’arte è qui – diciamo 5Kg meno)

1×3 con il carico 6-8RM

1×1 con un carico superiore (diciamo 5Kg in più)

Riposare 1’30”

Ripetere il tutto altre 2 volte

E’ uno schema ad onde più “corposo” nel volume, ma sono solo 21 ripetizioni se lo eseguite 3 volte. Ed è breve. C’è l’esaurimento muscolare per fatica cumulativa, c’è un volume di lavoro ad un carico impegnativo, c’è l’utilizzo di carichi “elevati” nella singola, ma che essendo una singola ad un peso non troppo distante dalla tripla, vi permette anche di recuperare. Riuscirete cioè a gestire un carico più elevato all’interno di un protocollo a fatica cumulativa.



Il carico è invariato in tutti i “giri”. Potete provare uno schema del genere facendo 2 giri la prima settimana e 3 la seconda. Se vi piace, le variazioni sul tema sono il condimento di questo piatto, e gli cambiano sapore:

potete fare ad esempio un 2×3 – 1×1, cioè le due triple a carico fisso e poi la singola

potete fare 1×3 – 1×2 – 1×1 dove nelle prime due serie mantenete un carico costante ma più elevato del 75%

Potete fare 2×3 – 2×1

Dategli insomma un po’ di volume a queste onde! Il concetto è sempre lo stesso: un protocollo di forza può diventare un protocollo ipertrofico non solo alzando le ripetizioni ma anche diminuendo il recupero o incrementando le serie. L’ipertrofia deriva dall’esaurimento muscolare. Per ottenere l’esaurimento le strategie sono molteplici.



Panca Westside



Ho inserito la parola "Westside" per puro marketing… C’è chi lo ama, chi lo odia. Però se ne parla, fa figo, è in. Per catturare più attenzione avrei potuto scrivere Sex Bench Press. A parte scherzi, ritengo il Westside un sistema di allenamento innovativo e molto creativo, ma dovrei dedicargli molto più tempo. Viene data enfasi ad un modo intelligente per evitare lo stallo, tramite la rotazione degli esercizi. Io sono stato pesantemente influenzato da questo metodo e per me certi aspetti mi hanno lasciato letteralmente a bocca aperta. Per ora, fidatevi e continuate a leggere.



La panca è un esercizio che coinvolge molta meno massa muscolare rispetto a squat e stacco, perciò può essere allenata nella settimana con una frequenza più alta rispetto a questa. Lasciamo stare le sedute a multifrequenza, siamo persone normali. Ma due volte a settimana è sicuramente possibile. E poichè la panca coinvolge quasi tutti i muscoli della parte superiore, faremo più lavoro per una maggiore ipertrofia della parte superiore.



L’idea è questa: facciamo due sedute di panca, ma in una inseriamo un esercizio "speciale" che permetta di caricare più del solito. L’esercizio speciale è l’elemento di variazione che impedisce l’adattamento.

Scegliamo la board press: costruitevi un "mattone" di legno alto 10cm, largo 15cm, lungo 30cm. Poi costruitene un altro alto 5cm. Legatevi con un paio di elastici la tavoletta al petto e fateci la panca (meglio se con il fermo al petto).



La board press è un modo intelligente di fare dei movimenti parziali.



A differenza dalla panca con fermo sulle barre di sicurezza del rack, l’appoggio centrale e stretto evita che eventuali piccole dissimmetrie creino delle situazioni di appoggio asimmetrico pericoloso, in più voi guardate al centro del bilanciere e avete idea di quando sta per toccare la tavoletta a differenza delle barre che non vedete. Per finire, l’esercizio è più “instabile” in quanto dovete bilanciare il tutto, cosa che non succede se appoggiate sulle barre

A differenza di chi esegue un parziale fermandosi ad una certa altezza, qui l’altezza è veramente certa. In più, il fermo al petto introduce una notevole difficoltà.



Avete capito (anzi, vi ho fatto due vere palle) su come strutturare una seduta in 5×2, perciò l’idea è questa:

1° settimana: board press 10cm: 5×2 rec 2’ – utilizzare un carico dal 100% al 105% del massimale

2° settimana: board press 10cm: 5×1 rec 1’30” – utilizzare un carico dal 105% al 110% del massimale

3° settimana: board press 6cm: 5×2 rec 2’ – utilizzare un carico dal 95% al 100% del massimale

4° settimana: board press 6cm: 5×1 rec 1’30” – utilizzare un carico del 100% del massimale.

Mi raccomando: qui ci si fa molto male se si esegue “alla alè alè” come dice un mio amico, perciò servono una serie di accortezze: un must è avere un assistente (meglio) o eseguire in un rack. Non state scherzando, ma state lavorando con carichi sovramassimali.



La seconda regola è che ho indicato dei valori puramente di riferimento. E’ chiaro che se la corsa del bilanciere è inferiore, il carico è più alto. Questo serve per condizionarvi al carico elevato, a maneggiare, staccare, gestire, sentire un carico elevato. Scalate del 5% se non siete sicuri, utilizzerete comunque più carico del solito, come sempre con un recupero dosato in modo da sviluppare in un tempo ragionevole un buon volume di lavoro.

Immediatamente a ruota inserite un 1×2 di panca se è il giorno del 5×2, un 2×1 se è il giorno del 5×1. Scegliete voi il carico.



Lo schema proposto è veramente impegnativo: non prendetelo sottogamba. La variazione dell’esercizio evita lo stallo. L’elemento “westside” non è tanto la board press in se, ma il fatto di tirare un esercizio e poi cambiarlo. Questo vi porta ad un utilizzo prolungato di carichi elevati, prima che si faccia sentire la fatica sistemica. Se invece faceste la board da 10cm per 4 settimane, alla 4° sareste del tutto esplosi di testa, e vi ritroverete in pieno stallo come quando dovete fare i massimali per forza. Una variante è la seguente, meno difficile:



1° settimana: board press 10cm: 5×2 rec 2’ – utilizzare un carico del 95%del massimale

2° settimana: board press 10cm: 5×2 rec 2’ – utilizzare un carico dal 100% al 105% del massimale

3° settimana: board press 10cm 5×1 rec 1’30” – utilizzare un carico dal 105% al 110% del massimale

Il ciclo viene allungato e reso più soft (sempre carichi indicativi, please)

Un’altra variante è semplicemente fare le due settimane di board da 6cm e poi le due da 10cm, che, per chi è nuovo di queste cose può rappresentare la strategia ottimale.



Nella seconda seduta, esercizio del tutto diverso come la panca stretta in uno schema a piacere.

Gli schemi proposti sono coerenti con quanto espresso nella precedente trattazione. Notate quanto c’è da scrivere (e da leggere) per ogni singola combinazione. Questo è dovuto, appunto, all’esperienza. E’ l’esperienza che rende “vivo” un programma di allenamento, con le 1000 finezze e le 3000 soluzioni ai problemi pratici di quando si “fanno le cose”. Comprendete anche quanto questo articolo può essere imperfetto… come si fa a scrivere tutto quello che serve? E se mi ammalo? E se mi sento di spaccare tutto e a metà mi sciolgo come la cioccolata al sole? E se…


Provate con coscienza, state attenti, non sottovalutate niente e… ragionate.
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